Quando si sottostima il conto del riscaldamento globale

Gli effetti del global warming costano molto più di quanto stimato dai governi. Lo denunciano due nuovi studi. Ad esempio i danni legati a ogni tonnellata di emissioni di CO2 sarebbero oltre 42 volte più alti di quanto considerato dall'amministrazione Usa. Un pericolo, perché da modelli economici sballati derivano scelte politiche inadeguate.

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I governi non stanno valutando correttamente i danni che il riscaldamento globale sta causando e causerà. L’impatto è fortemente sottostimato e questo è molto grave perché influisce sulle decisioni politiche necessarie per rallentare il global warming. L’allarme arriva da due diversi studi di economisti americani appena pubblicati. Al centro di entrambi la questione del SCC, il social cost of carbon, ossia la stima dei costi economici per la società di ogni tonnellata di CO2 immessa in atmosfera. Per il governo degli Stati Uniti l’SCC è di 21 dollari a tonnellata di CO2. Per i due studi, che contestano alcune lacune nei modelli economici che hanno portato a tale stima ufficiale, il costo sociale delle emissioni invece potrebbe essere oltre 42 volte più elevato.

Secondo uno dei due report (in allegato), “Climate risks and carbon prices”, realizzato da Economics for Equity and the Environment Network, una rete di circa 200 economisti sensibili alle tematiche ambientali, il costo per gli Stati Uniti di ogni tonnellata di CO2 emessa non sarebbe di 21 dollari, bensì potrebbe sfiorare già adesso i 900 $ (893 per la precisione) e arrivare a 1.550 nel 2050. Considerando che gli Usa emettono 6 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno, azzerare le emissioni (esclusi i costi per farlo) – stima lo studio – farebbe risparmiare 5,3 trilioni (5.300 miliardi): circa un terzo del Pil nazionale. Se i governanti Usa ragionassero seguendo queste stime è chiaro che la convenienza di politiche drastiche per ridurre le emissioni sarebbe fuori discussione.

Diverse dunque, secondo il report, le lacune dei modelli economici con cui si sono calcolati i costi del global warming ufficiali. Ad esempio i picchi di aumento di temperatura che si avranno nell’entroterra non sono considerati perché “compensati” dal clima più fresco delle zone costiere. Oppure nelle medie delle precipitazioni non vengono considerati gli eventi metereologici estremi. Tutto ciò porta a un’incertezza troppo grande. Ad esempio il modello economico governativo stima che un aumento di 2,5 °C porti a perdite per l’1,8% del Pil, ma secondo un’analisi dell’economista della University of California, Michael Hanemann, con lo stesso aumento di temperatura il danno sarebbe 4 volte più pesante.

Simili le osservazioni che arrivano anche dall’altro studio, “More than Meets the Eye: The Social Cost of Carbon in U.S. Climate Policy”, a cura dei think thank World Resources Institute e Environmental Law Institute. Quando si parla di cambiamenti climatici, fanno notare gli autori, i modelli economici possono – intenzionalmente o non – semplificare eccessivamente alcuni fattori chiave. Ad esempio si sottovalutano spesso gli effetti di cambiamenti improvvisi, e di reazioni a catena oppure altri economisti non tengono conto delle differenze regionali.

Il problema è che da conti difettosi nascono le scelte politiche. Il report confronta l’SCC stimato dal governo Usa e quello assunto dal governo britannico. Il primo valuta i danni prodotti da ogni tonnellata di CO2 da 5 a 65 dollari con un valore mediano di 21; a Londra invece la stima parte ddai 41 $ per arrivare a 124 $, con un valore mediano di 83. Un SCC erroneamente basso, specie se associato a una non adeguata considerazione degli altri benefici economici che si avrebbero tagliando la CO2, porta ovviamente all’inazione nella battaglia per il clima. E il conto da pagare per l’inerzia potrebbe rivelarsi inaspettatamente alto.

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