Negoziati sul clima, ancora troppa strada da fare

Pochissimi progressi delle parti sui testi negoziali dopo la conferenza di Bonn di giugno. Cresce lo scetticismo sul destino del protocollo di Kyoto, soprattutto di diversi paesi industrializzati. Il dato che resta è quell’enorme gap che ancora c’è tra gli obiettivi proposti dai paesi industrializzati dopo Copenhagen e quanto richiesto dall’IPCC.

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Il negoziato internazionale sul clima per il periodo post-2012 ha vissuto a Bonn, dal 6 al 17 giugno 2011 un’altra tappa importante quando si sono riuniti i due gruppi di lavoro sul protocollo di Kyoto e sulla Convenzione ONU sul clima (Ad-hoc Working Group on the Kyoto Protocol 16 e Ad-hoc Working Group on Long-Term Cooperative Action 14) chiamati a identificare la soluzione migliore per il futuro della lotta ai cambiamenti climatici, oltre ai due organi sussidiari della Convenzione, ossia l’organo per il supporto scientifico e tecnologico (SBSTA) e per l’attuazione della Convenzione (SBI).


Pochi, pochissimi, i progressi delle parti sui testi negoziali. Nell’ambito del gruppo di lavoro sul protocollo di Kyoto il testo ereditato da Cancun (COP16) è stato notevolmente ridotto, ma essenzialmente nelle sue parti più obsolete, senza sfiorare le questioni principali che rimangono ancora irrisolte. Queste sono le regole del gioco come il trattamento delle attività di uso del suolo, cambio di uso del suolo e foreste (land use, land-use change and forestry, LULUCF) e i meccanismi flessibili. Oltre, ovviamente, al dettaglio degli obblighi di riduzione dei paesi Allegato I in riferimento al secondo periodo di adempimento del protocollo di Kyoto.


Una delle poche certezze emerse dal negoziato è il gap tra la fine del primo periodo di adempimento del protocollo di Kyoto (31 dicembre 2012) e l’inizio del secondo, la cui data è ancora da definirsi. Un gap prima di tutto relativo ai nuovi obblighi per i paesi industrializzati, essendo al momento sconosciute l’esistenza e l’entità di tali impegni futuri. Un divario che riguarda anche le regole e le istituzioni create dal protocollo di Kyoto, come per esempio il futuro dei meccanismi flessibili, che, secondo alcuni, non avrebbero più senso di esistere in quanto creati esplicitamente per supportare i paesi industrializzati nell’adempimento degli obblighi individuati.


Il gap non potrà essere evitato semplicemente per il fatto che gli strumenti di ratifica di un eventuale emendamento del protocollo di Kyoto dovranno essere presentati da almeno 150 paesi entro il 3 ottobre 2012, una scadenza praticamente impossibile da rispettare.


Anche a Bonn, lo scetticismo sul destino del protocollo di Kyoto è stato confermato da quei paesi come Giappone, Canada e Federazione Russa contrari a qualsiasi impegno futuro in tale ambito e favorevoli ad un unico accordo globale che sostituisca il protocollo di Kyoto coinvolgendo tutti i paesi industrializzati (inclusi gli Stati Uniti) e le principali economie in sviluppo come Cina, Brasile, India e Sud Africa.


Ancora più limitato il progresso del negoziato in ambito Convenzione, dove, dopo il blocco della sessione precedente a Bangkok ad aprile 2011. In questo gruppo di lavoro, le aspettative create dagli accordi di Cancun non sono state rispettate e molti negoziati informali e gruppi di lavoro hanno ancora sofferto dello stallo e dell’opposizione di un numero ristretto di paesi, capeggiati dalla Bolivia.


Da rilevare il workshop sulle ipotesi e condizioni relative al conseguimento degli obiettivi di riduzione dei paesi sviluppati – quantified economy-wide emission reduction targets – organizzato come richiesto dagli accordi di Cancun e finalizzato a chiarire alcuni aspetti controversi come l’utilizzo dei crediti di carbonio dei meccanismi flessibili e delle attività di LULUCF e le varie opzioni per incrementare il livello di ambizione degli obiettivi proposti. Inoltre, le Parti hanno avuto la possibilità di discutere di altre questioni come la comparabilità degli sforzi di riduzione tra protocollo e convenzione, il sistema di controllo del rispetto degli obblighi e le regole di conteggio e monitoraggio delle emissioni.


Si segnala inoltre la presentazione del gruppo dei paesi delle piccole isole (AOSIS) che ha identificato il divario tra gli obiettivi proposti dai paesi industrializzati dopo Copenhagen (riduzione dei gas ad effetto serra dal 13 al 18% entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990) e quanto richiesto dall’IPCC per puntare ad un aumento massimo della temperatura entro il 2100 pari a 2 gradi centigradi (25-40%).


Intanto, anche a Bonn, sono continuate le consultazioni informali tra Unione europea e paesi in via di sviluppo (gruppo dei 77 e Cina) riguardo al futuro del protocollo di Kyoto e finalizzate a ridurre le differenze tra i vari paesi. Anche se appare sempre più difficile un accordo per il secondo periodo di adempimento del protocollo di Kyoto che escluda tutti gli altri paesi industrializzati. I cittadini europei potrebbero mai digerire un impegno unilaterale?


I migliaia di delegati si ritroveranno a Panama tra il 1° e il 7 ottobre 2011, prima della COP17 di Durban dal 28 novembre al 9 dicembre 2011.

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