Età dell’oro per il gas, ma non per il clima

"Il gas, forse la fonte fossile più pulita, è comunque una fonte fossile". Nella battuta del direttore esecutivo della IEA, Tanaka, le implicazioni presenti nel nuovo rapporto WEO di settore. Secondo i dati proposti un'eventuale età dell’oro del gas coinciderebbe a un periodo infernale per gli effetti sui cambiamenti climatici.

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Siamo all’inizio dell’età d’oro del gas? Per la IEA alcuni segnali provenienti dalla politica energetica internazionale lo confermerebbero. La questione viene affrontata nell’ultimo rapporto dell’International Energy Agency intitolato Are we entering a golden age of gas? (scarica pdf in basso), per brevità semplicemente GAS-2011, un’edizione speciale della serie World Energy Outlook 2011.

Questo aspetto va tenuto in considerazione come chiave di lettura, al di là del titolo magniloquente e indubbiamente accattivante che rivela forse le finalità del documento, ma soltanto in parte ne anticipa i contenuti. Dopo gli accadimenti eclatanti che nel periodo più recente sono intervenuti a scompaginare gli equilibri, se non le certezze, del settore energetico, è emersa l’esigenza di riposizionare le prospettive di una fonte primaria considerata centrale negli sviluppi del mix energetico mondiale futuro. Il disastro nucleare di Fukushima, la catastrofe del Golfo del Messico, le rivolte sociali nell’area nordafricana, la crisi economico finanziaria e l’incerta ripresa, l’esplosione della produzione di shale-gas negli Stati Uniti si sono succeduti in rapida sequenza tanto da sollecitare una revisione dell’ultimo outlook sul gas (WEO-2010 NPS, New Policy Scenario) in anticipo sui tempi usuali dell’IEA.

Definiti HILP (High Impact Low Probability event), eventi di questo tipo sono fattori considerati della massima rilevanza nel rapporto GAS-2011, e alla categoria a cui appartengono è dedicato il capitolo finale nel quale ne sono proposti quattro con relative implicazioni:

  1. grande diffusione della produzione di energia elettrica da gas negli USA
  2. elevato miglioramento dell’efficienza energetica in Europa dell’Est e Asia Centrale
  3. notevole impatto degli autoveicoli alimentati a gas naturale
  4. impatto irrilevante della tecnologia CCS

Il capitolo segue quello dell’analisi di sensitività dello scenario prevalente, scenario GAS-2011, alle variazioni di alcuni parametri chiave, in una successione che sembra funzionale a rafforzare la premessa del rapporto: l’Outlook GAS-2011 non produce uno scenario previsionale, inteso come il più probabile, ma propone un esame delle tendenze in atto nel settore per prospettarne l’evoluzione.

Rispetto alla precedente versione, GAS-2011 non prevede cambiamenti nell’insieme dei fattori che regolano la crescita della produzione e dei consumi di gas naturale, ma ne considera per alcuni significative variazioni in peso. Le più importanti riguardano la crescita maggiore del gas nel mix di energia primaria della Cina (8,3% nel 2015), la riduzione della quota del nucleare nel mix mondiale (nel 2035, dall’8% al 7%), prezzi del gas costantemente più bassi (del 20% circa).

Nel complesso si registrerebbe una crescita costante della domanda di gas naturale: 5,1 Tm3 nel 2035 per il 25% nel mix energetico primario mondiale, superando il carbone. L’attendibilità di questa proiezione chiama in causa l’ampiezza delle caratterizzazioni assunte sui fondamentali economici, industriali e geologici che la definiscono e in questo senso il rapporto IEA è disseminato di criticità, a dire il vero non celate: per esempio l’ipotesi sulla crescita costante dei consumi, messa in dubbio in primo luogo dal crollo manifesto degli stessi nel biennio 2008-9 (di portata mai verificatasi nei precedenti 35 anni); la mole degli investimenti in infrastrutture di upstream e di trasporto necessari a sostenere la produzione, circa 8.000 mld di $; le dinamiche del prezzo del gas, non necessariamente regolate da forze calmieranti in regime di maggiore globalizzazione propiziata dalla diffusione della filiera LNG (liquefazione-rigassificazione), come dimostrano gli andamenti di prezzo opposti in due mercati competitivi gas-to-gas (stabilità a bassi valori negli USA, favorita dalla disponibilità regionale della risorsa, contro l’impennata repentina del gennaio 2010 in Gran Bretagna a causa della scarsità nella produzione locale e aumento della domanda invernale in Europa continentale) e infine  l’incidenza delle politiche ambientali.

E’ opportuno soffermarsi sulle implicazioni ambientali per la loro rilevanza riguardo agli effetti sui cambiamenti climatici. Tralasciando le conseguenze, il rapporto GAS-2011 rileva che la crescita dei consumi energetici proposta nello scenario favorevole al gas naturale comporta l’immissione in atmosfera di ingenti volumi di CO2eq: fino a 35,3 Gt nel 2035, di cui circa 10 Gt da gas. Questa tendenza è correttamente giudicata non in linea con l’obiettivo di contenere l’aumento di temperatura atmosferica entro i 2°C. Qualsiasi riferimento al rischio ambientale è omesso. Per completare il quadro è tuttavia sufficiente consultare il diagramma burning embers utilizzato dall’IPCC e dalla comunità scientifica in generale per rappresentare l’intensità del rischio delle categorie d’impatto più riconosciute (vedi figura).

A un incremento della temperatura di 3,5 °C corrisponde un panorama allarmante in cui il rischio di danni irreparabili agli ecosistemi, di manifestazioni atmosferiche estreme e di altre calamità diventa così alto da implicare costi ambientali ed economici insostenibili.

Va inoltre sottolineata una questione di metodo. Alcune valutazioni sugli impatti ambientali della produzione di gas naturale sembrano sottostimate. Fa fede in primo luogo il problema dei rilasci in atmosfera di metano durante il ciclo completo di coltivazione e trasmissione di gas non convenzionale. GAS 2011 segue in merito l’indicazione di considerarli dello stesso ordine di grandezza di quelli del gas convenzionale. Impostazione tuttavia smentita da un recente studio, fondato su dati reali e aggiornamenti EPA, in base a cui i rilasci di metano di provenienza non convenzionale (in particolare shale gas) sarebbero significativamente superiori (Qualenergia.it, Shale gas peggio del carbone). Applicando per esempio al caso della produzione di shale gas degli Stati Uniti (60 G m3nel 2008) la percentuale minima di rilascio in atmosfera proposta in tale studio (4%), si ottiene a,traverso le opportune riduzioni, una quantità di gas climalterante pari a 43 Mt di CO2eq. Pur non attualizzata alle previsioni in aumento della produzione di shale gas, si tratta comunque di un quantità non trascurabile se confrontata con la differenza in termini di emissioni globali tra gli scenari GAS-2011 e NPS-2010: 160 Mt in meno nel nuovo.

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