Quei falsi miti dell’opzione nucleare

CATEGORIE:

Per abbandonare le fonti fossili potremmo puntare su fonti rinnovabili ed energia nucleare. Ma le controindicazioni di quest'ultima scelta sono troppe: dai costi eccessivi al problema delle scorie, per non parlare della sicurezza. Il professor Vincenzo Balzani le elenca, sfatando uno per uno i miti diffusi dai nuclearisti.

ADV
image_pdfimage_print

Il nostro Paese deve affrontare il problema dell’energia e i modi in cui lo affronterà “condizioneranno non solo la nostra vita, ma ancor più quella dei nostri figli e dei nostri nipoti”. Negli ultimi 150 anni abbiamo puntato quasi tutto sui combustibili fossili, che però hanno risorse limitate ed effetti insostenibili su salute, clima e ambiente: “ancora prima che siano i combustibili fossili a lasciarci, dovremo essere noi a smettere di utilizzarli.” Inizia così un interessante intervento del chimico ed esperto di energia Vincenzo Balzani di cui riproponiamo alcuni stralci (la versione integrale, completa di bibliografia e pubblicata sulla rivista semestrale Cosmopolis è qui). Ovviamente risparmio ed efficienza – prime azioni da intraprendere – non sono sufficienti a permetterci di abbandonare le fonti fossili, continua il docente dell’Università di Bologna. Le due opzioni che resterebbero sono dunque nucleare e rinnovabili.


Perché la scelta nucleare sia “non solo economicamente irragionevole, ma anche tecnicamente molto problematica e socialmente inopportuna”, Balzani lo spiega sfatando i miti diffusi dai nuclearisti: “Ci viene detto, ad esempio, che l’energia nucleare è in forte espansione in tutto il mondo e che, quindi, non si capisce perché non dovrebbe essere sviluppata in Italia. Si tratta, però, di un’informazione smentita dai fatti. Da vent’anni il numero di centrali nel mondo è sostanzialmente stabile attorno alle 440 unità e nei prossimi anni le centrali nucleari che saranno spente per ragioni tecniche o economiche saranno in numero maggiore di quelle che entreranno in funzione. In Europa la potenza elettrica delle centrali nucleari è scesa dal 24% nel 1995 al 16% nel 2008 e l’energia elettrica prodotta col nucleare nel mondo è diminuita di 60 TWh dal 2006 al 2008. Il declino del nucleare non è dovuto a paure per la sicurezza degli impianti, ma semplicemente al fatto che esso non è economicamente conveniente in un regime di libero mercato. Se le casse statali non garantiscono la copertura degli enormi costi dell’intero ciclo industriale, in particolare quelli a monte e a valle (costruzione, sistemazione delle scorie e dismissione), nonché la copertura assicurativa nelle eventualità di incidenti gravi, nessuna impresa privata è disposta a investire in progetti a cui sono connessi rischi di varia natura, a cominciare dalla incertezza assoluta sui tempi di realizzazione.”


“Si dice anche che lo sviluppo dell’energia nucleare è un passo verso l’indipendenza energetica del nostro Paese. Premesso che le 4 centrali previste nel piano del Governo produrrebbero solo il 14% dei consumi elettrici, corrispondenti ad un modesto 3,2% dei consumi energetici finali italiani, bisogna ricordare che il nucleare usa come combustibile l’uranio, una risorsa che non è presente né in Italia, né negli altri Paesi europei. Il settore elettrico (…) finirebbe per entrare in un’altra dipendenza, quella dall’uranio, anch’esso da importare come i combustibili fossili (…). L’Italia non solo non ha uranio, ma non ha neppure la filiera che porta, con operazioni di una certa complessità, dall’uranio grezzo all’uranio arricchito utilizzato nei reattori. Per il combustibile dipenderemo quindi totalmente da paesi stranieri, seppure amici, come la Francia. Non bisogna però dimenticare che la Francia a sua volta non ha uranio e che per far funzionare i suoi reattori ne importa il 30% da una nazione politicamente instabile come il Niger, sua ex-colonia, ora ri-colonizzata.”


“Si sostiene che con l’uso dell’energia nucleare si salva il clima perché non si producono gas serra. È vero che durante il funzionamento delle centrali nucleari non vengono emessi gas serra, ma le centrali nucleari per essere costruite, alimentate con uranio, liberate dalle scorie che producono e, infine, smantellate, richiedono un forte investimento energetico basato sui combustibili fossili. In ogni caso, le centrali nucleari che si intende installare in Italia non entreranno in funzione prima del 2020 e quindi non potranno contribuire a farci rispettare i parametri dettati dall’Unione Europea.”


Si afferma che la Francia, grazie al nucleare, è energicamente indipendente e dispone di energia elettrica a basso prezzo. In realtà la Francia, nonostante le sue 58 centrali nucleari, importa addirittura più petrolio dell’Italia, perché con il nucleare non si producono combustibili. È vero che la Francia importa il 40% in meno di gas rispetto all’Italia, ma è anche vero che è costretta ad importare uranio poiché le sue miniere si sono esaurite negli anni ’80-’90. Che poi l’energia nucleare non sia il toccasana per risolvere i problemi energetici, lo dimostra una notizia clamorosa pubblicata su “Le Monde” il 17 novembre scorso e ignorata da tutte le fonti vicine al nostro Governo: pur avendo 58 reattori nucleari, la Francia attualmente importa energia elettrica”.


Balzani passa poi a sottolineare il problema di tempi e costi implicito nel programma nucleare italiano, portando argomenti non nuovi per i lettori di Qualenergia.it. Quasi impossibile che si costruiscano quattro centrali EPR, per un totale di 6.400 MW di potenza, con 12-15 miliardi di euro come dicono le fonti ufficiali. L’unica certezza è quella “di aprire una partita il cui costo finale è oggi indefinito. Il tentativo di rilanciare il nucleare in Europa da parte della ditta francese AREVA con la costruzione in Finlandia di un reattore del tipo di quelli che si vorrebbero installare in Italia sta naufragando. Il contratto prevedeva la consegna del reattore “chiavi in mano” dopo 4 anni, nel settembre 2009, al costo di 3 miliardi di euro; ad oggi, i lavori sono in ritardo di 3,5 anni e il costo è aumentato di 2,3 miliardi di euro.”


“C’è poi il problema dello smaltimento delle scorie radioattive per decine di migliaia di anni, non ancora risolto neppure negli USA dove, dopo aver cercato di costruirne un deposito “permanente” scavando per 30 anni sotto una montagna del Nevada, con una spesa di circa 100 miliardi di dollari, si è ora riconosciuto che si tratta di un’impresa impossibile e si è deciso di lasciare le scorie sui piazzali delle centrali. Nel conto finale dell’energia nucleare, quindi, bisogna anche includere il costo economico e sociale del dover sorvegliare questo materiale per tempi indefiniti.


Infine, c’è il problema dello smantellamento delle centrali nucleari a fine ciclo. Si tratta di operazioni complesse, pericolose e molto costose, che in genere vengono rimandate (per un minimo di 50 anni in Francia, per 100 anni in Gran Bretagna), in attesa che la radioattività diminuisca e nella speranza che gli sviluppi nella tecnologia di decontaminazione e dei robot rendano più facili le operazioni.”


Balzani ricorda poi anche il problema della sicurezza militare: la “stretta connessione dal punto di vista tecnico, oltre che una forte sinergia sul piano economico, fra nucleare civile e nucleare militare, come è dimostrato dalle continue discussioni per lo sviluppo del nucleare in Iran. Una generalizzata diffusione del nucleare civile porterebbe inevitabilmente alla proliferazione di armi nucleari e quindi a forti tensioni fra gli Stati, aumentando anche la probabilità di furti di materiale radioattivo che potrebbe essere utilizzato per devastanti attacchi terroristici”. Il rientro nel nucleare, quindi – conclude – “è un’avventura piena di incognite”.


 


Leggi anche su Qualenergia.it: 13 domande sul nucleare per sapere quello che non vi dicono 

ADV
×