Ricette per evitare il collasso ambientale ed economico

L’Earth Policy Institute propone da tempo il cosiddetto Piano B, un pacchetto di soluzioni molto articolate per combattere i cambiamenti climatici e le loro conseguenze, uscendo dalla logica del business as usual. Qualenergia.it ne ha parlato con Janet Larsen, direttore della ricerca dell’istituto e alter ego del presidente Lester Brown.

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Davanti alle sempre più frequenti crisi ambientali ed economiche, c’è chi pensa a un Piano B per il mondo. L’Earth Policy Institute, vede in questo pacchetto di alternative una possibilità per combattere i cambiamenti climatici e le loro conseguenze. Ne abbiamo parlato con Janet Larsen, direttore della ricerca dell’istituto e alter ego del presidente Lester Brown, come lui stesso la definisce nel suo ultimo libro.


La vostra istituzione è soprattutto nota per avere concepito il cosiddetto “Piano B”. Di cosa si tratta?


Abbiamo ideato il Piano B quando ci siamo resi conto che il business as usual, ovvero il piano A, non stava funzionando. Qualsiasi indicatore guardiamo, per esempio l’inquinamento dell’aria e dell’acqua, la distruzione delle foreste e degli ecosistemi e anche la crescita economica, ci dice che stiamo andando in una direzione di non sostenibilità. Il mondo ha bisogno di un piano B. Abbiamo elaborato un programma fatto di una serie di elementi costitutivi, tutti correlati fra loro: stabilizzare la popolazione e sradicare la povertà, recuperare gli ecosistemi naturali e fermare il riscaldamento globale. La componente climatica costituisce una delle più grandi sfide perché la maggior parte del mondo sta guardando al problema come se avessimo a disposizione ancora una quarantina d’anni per risolverlo e si parla di vedere cosa succederà nel 2050. Noi invece non ci siamo chiesti cosa sia politicamente più facile o realizzabile, ma semplicemente cosa va fatto per fermare il climate change ora. Il nostro obbiettivo è quindi quello di una riduzione dell’80% delle emissioni entro il 2020.


Quali sono gli elementi chiave che potrebbero portare il mondo a raggiungere un obiettivo tanto ambizioso?


Si tratta di una combinazione di tre elementi: da una parte c’è l’efficienza energetica che va drasticamente incrementata attraverso un cambiamento radicale dell’intera economia, del sistema dei trasporti, del settore abitativo, dell’industria. Il secondo elemento è lo sviluppo delle energie rinnovabili in mix diversi per ogni paese. Infine, c’è il recupero dei sistemi naturali, lo stop alla deforestazione, la stabilizzazione dei suoli in modo che possano trattenere maggiori quantità di CO2.


Siete riusciti a fare una valutazione di quanto ognuna di queste azioni possa quantitativamente incidere nel raggiungimento dell’obiettivo finale?


Abbiamo tracciato una sorta di roadmap ed elaborato vari scenari prevedendo anche diverse percentuali di energie rinnovabili. Per esempio, il vento, che è una fonte che al momento copre una porzione relativamente piccola dei consumi energetici, dovrebbe andare a rimpiazzare quel 40% di energia attualmente prodotto dal carbone. L’obiettivo è uscire dal carbone e dal petrolio e sostituirli con le rinnovabili per la produzione di elettricità e per il riscaldamento. Così facendo, come  mostriamo nei nostri schemi, si possono tagliare 3.140 milioni di tonnellate di anidride carbonica che è una percentuale significativa di quell’80% di tagli che vorremmo ottenere al 2020 (vedi grafico, ndr).


Ma si tratta di uno scenario realistico o è pura utopia?


Più aspettiamo più diventa difficile. L’obiettivo è fortemente ambizioso e comporta un cambiamento completo del sistema. A noi piace utilizzare l’analogia con il momento storico in cui gli Usa decisero di entrare nella Seconda guerra mondiale. In quel caso fu fatto un enorme sforzo di riconversione industriale ma non ci sono voluti decenni né anni, bensì mesi. Se oggi avessimo una motivazione altrettanto forte potremmo farcela. Al momento ci sono tante aree industriali degli Usa in crisi per il crollo dell’auto. Potremmo metterli a fare turbine eoliche e otterremmo la quantità necessaria per arrivare alle produzioni da eolico di cui abbiamo bisogno. Noi abbiamo stimato che servirebbero 1,5 milioni di turbine: sembra un numero enorme, ma se si pensa che ogni anno al mondo si producono70  milioni di auto non è poi così fuori portata.


Tuttavia, a differenza dello sforzo bellico fatto negli anni ‘40, questa volta l’impegno non dovrebbe essere solo americano, bensì si richiede a tutti i paesi di fare uno sforzo.


Certamente. Però se gli Usa, che sono uno dei maggiori inquinatori, guidassero lo sforzo, il cambiamento potrebbe avvenire più velocemente. In ogni caso altri paesi, compresa la Cina, si stanno impegnando per garantire tagli alle emissioni e io credo che raggiungeranno anche più di quello che hanno promesso. Se l’America non si muoverà nella giusta direzione forse non perderà immediatamente la leadership, ma sicuramente la nostra industria si indebolirà.


Il Piano B è concepito quindi come una sorta di alternativa al protocollo di Kyoto?


I due documenti partono da presupposti diversi perché noi non ci chiediamo da un punto di vista politico cosa sia fattibile o cosa porti consensi. Diciamo semplicemente cosa va fatto. Mentre molti paesi e soprattutto gli Stati Uniti, vanno ai negoziati sul clima e fanno di tutto per uscirne potendo dire che hanno concesso il meno possibile.


Uno scenario come quello disegnato dal vostro Piano B potrebbe portare a dei cambiamenti negli equilibri mondiali. Come saranno la politica e l’economia del Piano B?


Negli Stati Uniti il motivo principale per cui finora non è avvenuto il cambiamento sperato è che l’industria del petrolio e del carbone ha un enorme potere politico. Ma se non si va in un’altra direzione quell’industria sul lungo periodo finirà comunque per perdere terreno. Per esempio adesso si sta discutendo se sia o meno giusto che questi settori continuino a ricevere fondi statali. Inoltre, perderanno delle opportunità. Per esempio, gli Usa che hanno inventato la moderna industria eolica e il solare fotovoltaico oggi sono indietro, e la Danimarca in un caso e la Cina nell’altro ci hanno sorpassati. Il fatto è che noi possiamo anche continuare ad affidarci al petrolio, ma i problemi prima o poi si manifesteranno.


Quindi anche se non ci sarà un cambiamento nella direzione sperata assisteremo comunque a delle trasformazioni?


Se c’è una cosa di cui possiamo essere certi è il cambiamento. Che avvenga perché stiamo abbracciando un modello nuovo o perché non stiamo facendo niente.


La crisi economica ha avuto effetti sulla capacità dell’economia di rigenerare se stessa?


Sì e no, perché se da una parte è vero che alcuni investimenti nei settori delle rinnovabili si sono contratti è anche vero che quasi tutti i pacchetti elaborati dagli stati per stimolare l’economia puntavano su rinnovabili, infrastrutture ed efficienza. La crisi in qualche modo è stata una sveglia brutale per tutti noi. Non c’è soltanto la bolla immobiliare, ma ci sono tante bolle che sottolineano la insostenibilità del nostro modello. La crisi in alcuni casi ha portato a una revisione delle priorità.


Di questi temi parla anche il vostro ultimo libro, World on the Edge, firmato dal presidente Lester Brown. 


Sì, il sottotitolo è molto esplicito: ‘come evitare il collasso ambientale ed economico’. Alla base del libro c’è la contraddizione di fondo cui assistiamo continuamente tra la scienza che ci dice che siamo oltre i livelli di guardia e gli economisti che sostengono che possiamo continuare a crescere ai ritmi attuali. Ma se le risorse naturali si stanno esaurendo come è possibile che si possa continuare a crescere? A noi sembra che la recente crisi economica globale sia piccola cosa se confrontata con la crisi cui si andrà incontro a causa di fenomeni come la pesca intensiva, l’inquinamento e la scarsità dell’acqua o l’overpumping che, quando avrà prosciugato i pozzi di paesi come l’India, lascerà senza cibo milioni di persone.


Il libro propone soluzioni?


Sostanzialmente sono le stesse del Piano B: controllo della popolazione attraverso l’educazione, risparmio energetico, rinnovabili, taglio delle emissioni e ripristino delle risorse naturali. 


 


Nota: su Piano B, Lester Brown e Earth Policy Insitute, vedi anche su Qualenergia.it:



Il futuro è rinnovabile. Intervista a Lester Bro

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