98% No Nuke in Sardegna

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Il voto del referendum consultivo in Sardegna dimostra come non ci sia alcuna prospettiva per il nucleare in Italia. Ma l'atteggiamento dell'opinione pubblica e dei governi sta cambiando anche in Germania, Francia e Giappone dove chiudono per sicurezza altri tre reattori e si iniziano ad elaborare scenari energetici alternativi. L'editoriale di Gianni Silvestrini.

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Malgrado i tentativi di vanificare il referendum nazionale sul nucleare, lo schiacciante responso della consultazione di domenica in Sardegna sottolinea il rifiuto che si respira più in generale nel paese. Interessante e non scontato il livello di partecipazione, 59%, che avrebbe consentito di superare anche il quorum nazionale. Prevedibile il risultato, anche se impressiona la sua compattezza. Il fatto che il 98% dei votanti si sia dichiarato contrario all’opzione nucleare, indica quale sarebbe l’esito del referendum nazionale nel caso gli italiani potessero esprimersi.


A determinare partecipazione e risultato hanno giocato anche la rabbia per il tentativo di scippare al popolo italiano la possibilità di esprimersi. E il risultato della Sardegna è uno schiaffo alla politica furbetta che vorrebbe imporre sotto banco scelte impopolari. Insomma, anche questo voto sottolinea come non ci sia alcuna prospettiva per il nucleare in Italia. E gli effetti di Fukushima iniziano ad incidere anche nelle strategie di altri paesi.


In Germania, la Commissione Etica insediata dalla Merkel dopo Fukushima ha prodotto un primo documento in cui si chiede un’accelerazione della fuoriuscita dal nucleare (vedi Qualenergia.it). Entro il 2021 i reattori tedeschi dovrebbero essere smantellati. Retromarcia quindi rispetto alla decisione di prolungare la vita dei reattori presa lo scorso anno. La proposta anticiperebbe il pensionamento dei reattori anche rispetto alla data del 2023 stabilita quasi dieci anni fa dalla coalizione rosso-verde.


In molti altri paesi è in atto una riflessione. Nella stessa Francia i Verdi hanno posto come condizione per un’alleanza con i socialisti l’indizione di un referendum sulla progressiva dismissione del parco nucleare.


Ma è dal Giappone che si aspettano i risultati più eclatanti. Più passa il tempo e più ci si rende conto della necessità di voltare pagina. Così, nei giorni scorsi il primo ministro Naoto Kan ha imposto la chiusura per motivi di sicurezza di tre reattori per complessivi 3.350 MW di un’altra centrale non coinvolta dal terremoto, ad Hamaoka.  E la credibilità del nucleare continua a calare. Un sondaggio ha evidenziato che il 47% dei giapponesi vorrebbe ridurre l’attuale numero di reattori. Insomma, non solo il programma di rapida crescita del nucleare è defunto, ma anche per le centrali esistenti, come quelle di Hamaoka, la vita si fa dura. Nel frattempo si elaborano nuovi scenari. I prossimi mesi ci diranno quanto seriamente si punterà sulle rinnovabili come fulcro di una alternativa strategica.

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