Fukushima è una Chernobyl con più insidie

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La classificazione dell'incidente nucleare in Giappone ha toccato il livello 7, ma secondo Giorgio Ferrari, intervistato da Qualenergia.it, le problematiche di questa crisi sono molto più complesse e di difficile soluzione rispetto al 1986. Il rischio di esplosione del nocciolo è reale e qui i reattori critici sono almeno quattro.

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L’agenzia giapponese per la sicurezza nucleare ha innalzato al livello massimo di 7 la classificazione dell’incidente nucleare alla centrale nucleare di Fukushima 1, al pari del disastro di Chernobyl del 1986. La motivazione dell’innalzamento della valutazione dell’incidente va ricercata probabilmente nelle prolungate conseguenze della radioattività emessa dai reattori che si avranno sulla saluta umana e sull’ambiente circostante. A distanza di un mese dal disastro e dopo questa nuova allerta ne riparliamo con Giorgio Ferrari, esperto nucleare, che avevamo intervistato solo a poche ore dallo tsunami (Qualenergia.it, Fukushima, probabile la fusione parziale del nocciolo) e che aveva immediatamento avvertito della pericolosità della situazione.

Ingegner Ferrari, cosa significa il passaggio ad un livello 7?

La notizia non cambia molto la sostanza della situazione degli impianti nucleari di Fukushima. Tra un livello 6 e 7 non ci sono poi grosse differenze. L’aspetto allarmante è che la situazione in Giappone è per certi versi molto più problematica che a Chernobyl, dove ci trovavamo di fronte ad un incidente chiaro, seppur drammatico. In quel caso con l’esplosione del reattore, anche se la radioattività arrivò in mezza Europa, si è potuto riversare sabbia e cemento sul nocciolo per bloccare almeno in parte le radiazioni. A Fukushima invece la situazione si regge su un equilibrio molto precario e la situazione è molto critica per almeno 4 reattori. Sembra quasi che si sia in attesa di uno scoppio del vessel, del contenitore del nocciolo. Il problema è che in Giappone sistemi e operazioni di emergenza non stanno funzionando, perché la struttura ha registrato fin da subito troppi malfunzionamenti. Non c’è acqua sufficiente dentro i noccioli dei reattori 1, 2 e 3 che sono parzialmente scoperti, forse di 10 o di 30 cm. E anche il ripristino dell’energia elettrica non ha consentito la loro copertura perché pompe e motori sono danneggiati sembra in maniera irreversibile.

Possiamo allora dire che la situazione sia peggiore di Chernobyl?

Questo è difficile da affermare. I livelli di radioattività sono più bassi, ma costanti. Tuttavia il rischio di uno scoppio meccanico del vessel è possibile e la difficoltà delle operazioni proprio per questo è più complessa. Non si riesce proprio a mandare acqua ad alta pressione all’interno del nocciolo di ciascun reattore, la cui pressione a sua volta aumenta.

Quali soluzioni si potrebbero prendere a questo punto?

Le soluzioni per abbattere i livelli di radiazioni sono molto difficili. Bisogna pensare che quando un nocciolo si deforma insieme alla sua struttura, cosa che sembra ormai evidente, c’è il rischio di una ricostituzione della massa critica che una volta colpita dall’acqua, che si rende necessaria per il suo raffreddamento, rimetta invece in funzione la reazione a catena. Una sorta di ginepraio da cui è difficile uscire. Direi che è arduo fare previsioni anche perché non sappiamo come sono messi al momento i diversi noccioli dei reattori. Forse dei rottami agglomerati.

L’ipotesi sarcofago è da scartare?

La soluzione di costruire un sarcofago su un reattore è al momento impossibile. Bisognerebbe arrivare ad un punto in cui ci sia la sicurezza che non possano più avvenire esplosioni. Per esserne certi bisognerebbe assicurarsi che il processo di raffreddamento sia in equilibrio e che l’aumento della pressione all’interno del nocciolo sia costantemente scaricato all’esterno, anche se ovviamente aumentando i livelli di contaminazione. Inoltre va detto che lo spazio di manovra per gli addetti è molto ridotto perché i reattori sono praticamente sul mare.

La Tepco sembra anche impreparata a gestire l’evoluzione della crisi.

Qui abbiamo avuto 5 tipi di incidenti. Tre di questi sono conosciuti e sperimentati. Sono definiti LOCA (lost of coolant accident, ndr), cioè una perdita del refrigerante del nocciolo, dovuta ad una rottura di una tubazione oppure per un malfunzionamento delle pompe che alimentano l’acqua al reattore. Gli altri due incidenti invece non sono mai accaduti nella storia dell’industria dell’atomo. Sto parlando della perdita di acqua nelle piscine dove è posto l’uranio irraggiato. Ho il sospetto che dopo il terremoto si siano prodotte fessurazioni nella struttura delle piscine che le hanno parzialmente svuotate. Per quanto riguarda il personale utilizzato in queste settimane nelle centrali credo che sia stato sottoposto ad un livello di radiazioni troppo elevato. Sappiamo che il personale specializzato della TEPCO non arriva a 70 addetti. Ma il grosso di quelli che stanno combattendo questa immane battaglia provengono dal ‘mercato delle braccia’, uomini reclutati per un lavoro sporco al quale, immagino, venga dato scarsa attenzione in termini di sicurezza.

Il paese e le sue infrastrutture energetiche come stanno reagendo alla catastrofe?

Un aspetto ancora poco conosciuto riguarda l’anacronistica struttura della rete elettrica giapponese che rischia di mettere in difficoltà il paese nel suo lento ritorno alla normalità. La rete infatti è divisa in due a livello territoriale, più o meno all’altezza di Tokyo, e tra le reti non è possibile uno scambio di elettricità, perché quella al nord viene distribuita a frequenza di 60 hertz e quella a sud a 50 Hz. Il sud quindi non può alimentare il nord e viceversa. Un sistema che si spiega con un coinvolgimento di aziende statunitensi nella costruzione della rete settentrionale del paese, soprattutto di General Electric, mentre invece le aziende europee sono quelle che hanno operato nel sud. Questa è un’altra falla nella moderna e tecnologica società del paese del sol levante. Oggi a causa del terremoto e dello tsunami, tra centrali atomiche e anche convenzionali, mancano all’appello nel nord del paese circa 20.000 MW di potenza che non saranno ripristinati in pochissimo tempo, anche se per il Giappone questa potenza non è vitale.

Cosa pensa delle critiche americane sulle insufficienti informazioni provenienti dal governo giapponese e dalla stessa Tepco?

La Commissione sulla sicurezza nucleare americana avrebbe voluto dire molto di più sulla crisi atomica di Fukushima, ma credo che sia stata censurata dai grandi produttori di reattori nucleari americani, come Westinghouse e General Electric, che continuano ad avere forti interessi internazionali in questa industria, che dal mio punto di vista spero invece possa avere una battuta d’arresto definitiva.

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