Come scegliere il pellet migliore

CATEGORIE:

Il pellet non è tutto uguale. Abbiamo chiesto ad alcuni esperti come scegliere quello di qualità migliore e spendere meno. Tra i criteri per la scelta: il potere calorifico, il residuo di ceneri, la composizione, la provenienza. Importante anche il tipo di legno utilizzato e la lavorazione.

ADV
image_pdfimage_print
Le stufe a pellet sono sempre più diffuse in Italia: il milione di pezzi venduti, dicono i dati Assopellet, è già stato superato a fine 2009. Grazie anche agli incentivi del 55% sulle caldaie a biomasse in molte case questa fonte ha addirittura sostituito l’impianto di riscaldamento a combustibili fossili (Qualenergia.it, Caldaie a biomassa per la casa, una piccola guida). Un boom che si è tradotto in un’impennata della domanda di questo combustibile soddisfatta da un’offerta a volte improvvisata e di qualità disomogenea. Come si sceglie dunque il pellet giusto?

La chiave per capirne la qualità sta in due valori che dovrebbero essere riportati in etichetta. Il più importante è il potere calorifico, ossia l’energia termica che una data quantità di quel particolare pellet riesce a dare: “i valori possono andare da 4,5 a 5,5 kWh/kg e ovviamente più alti sono meglio è”, ci spiega Leopoldo Toffano esperto di stufe a pellet dell’Anfus, associazione nazionale fumisti e spazzacamini. Il secondo indicatore è invece il residuo di cenere, correlato al potere calorifico e che determina anche quanto il pellet in questione pellet sporcherà la stufa: “deve essere minore dell’1%”, consiglia Toffano.

In questi due numeri sono riassunte le caratteristiche principali di un dato pellet, che dipendono da come è lavorato e dal tipo di legno da cui e ricavato. “Il migliore, spiega il tecnico Anfus, è il faggio puro, segue l’abete, che però come le altre piante resinose sporca un po’ di più la stufa; infine ci sono le latifoglie e il misto.” Esiste poi anche pellet fatto con biomasse varie: ad esempio segatura di legno mischiata a scarti di mais. I tecnici sentiti non lo bocciano, ma lo consigliano solo per grandi caldaie e non per le stufe: ha un residuo di cenere relativamente alto che sporca braciere e canna fumaria.

Attenzione però: valori buoni di potere calorifico o di residuo indicati sull’etichetta non sono una garanzia assoluta di qualità. L’unico modo per essere certi del pellet che si compra è quello di scegliere prodotti che si sottopongono a certificazioni volontarie riconosciute (Qualenergia.it, Per un pellet più trasparente). “A livello italiano c’è l’attestazione Pellet Gold – ci spiega Marino Berton, presidente dell’Associazione italiana energia dal legno (Aiel) e coordinatore di Assopellet – i produttori che vogliono questo marchio accettano che il loro pellet sia sottoposto a controlli casuali, periodici e a sorpresa, in un laboratorio certificato Sincert.”

Le analisi verificano la composizione chimica, escludendo ad esempio la presenza di vernici e formaldeide, che potrebbe essere presente qualora il pellet fosse (illegalmente) derivato da scarti di legno già lavorato, misurano il potere calorifico, il residuo di ceneri, controllano caratteristiche fisiche come la durevolezza, ossia il fatto che non si sbricioli ed effettuano altri test, come quello sulla radioattività, introdotto dopo che nel 2009 in Val D’Aosta era stata rinvenuta una partita di pellet con valori di radioattività anomala (Qualenergia.it, Il pellet nella bufera, Come è finita la storia del pellet radioattivo).

 
Corrispondente al marchio Pellet Gold per l’Italia c’è l’attestazione Din Plus per il pellet tedesco e quella ÖNORM per l’austriaco. “Ma dal prossimo inverno – anticipa Berton – ci sarà una novità: si partirà con una certificazione unica a livello europeo, la EN Plus”. La nuova certificazione, come quelle attuali, controllerà tutte le caratteristiche chimico-fisiche del pellet e dividerà i prodotti in 3 categorie: la A1 per il pellet più pregiato, una seconda, detta A2, e una terza contrassegnata con la lettera B nella quale finirà il pellet più scadente, adatto solo ad esser bruciato per usi industriali.

Viste le accortezze per scegliere il pellet di qualità, gli esperti sentiti ci danno un consiglio, sul come e quando comperarlo. Siate previdenti, fate le vostre scorte già in estate, quando i prezzi, che oscillano stagionalmente, sono più bassi. In genere per un sacchetto da 15 kg il prezzo si aggira intorno ai 4 euro.

Un buon metodo per risparmiare poi è ordinare grandi quantità direttamente dai produttori: si sta molto diffondendo l’abitudine di creare gruppi d’acquisto per il pellet, mettevi d’accordo con vicini, parenti e amici che hanno stufe a pellet a casa o cercate su internet i gas già attivi nella vostra città; li trovate su siti come www.pelletprezzi.com.
Un’ultima parola va poi spesa sulla provenienza del pellet. Molti scelgono di usare pellet anche per motivi ecologici, essendo un combustibile a bilancio neutro per le emissioni come in genere le biomasse e in più ottenuto da scarti. Il fatto che a volte arrivi da molto lontano ne può però pregiudicare la sostenibilità oltre a rendere più difficili i controlli sulla filiera. Meglio dunque scegliere pellet prodotto localmente. “Anche se – sottolinea Berton – nel caso del pellet la filiera può leggermente allungarsi: è ricavato dagli scarti delle segherie ed è logico che arrivi da dove c’è una concentrazione più alta di queste attività. Inoltre ha un elevato potere calorifico per cui ha senso trasportarlo su distanze un po’ più lunghe. Bisogna però stabilire soglie di convenienza nell’estensione della filiera: ad esempio, che il pellet in Friuli arrivi dalla Slovenia è accettabile, mentre chiaramente non ha senso farlo arrivare dalla Cina.”

 
ADV
×