Rischi nucleari, rischi petroliferi e prospettiva rinnovabili

Nucleare e fossili sono in difficoltà in tutto il mondo, mentre si indicano scenari importanti per le fonti rinnovabili a metà secolo. Per l'Italia il Piano d'azione per le rinnovabili fissa gli obiettivi al 2020, ma senza puntare a sfruttare tutte le vere potenzialità del settore. Un quadro sul mercato dell'energia nazionale e internazionali di Gianni Silvestrini nell'editoriale apparso nell'ultima rivista QualEnergia.

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L’industria nucleare è stata bloccata per 25 anni da un incidente, quello di Chernobyl. E sempre un disastro ambientale, quello della piattaforma Deepwater, rischia di mettere in ginocchio una delle grandi multinazionali del petrolio, la BP.

Cos’hanno in comune questi due episodi? L’enormità dei rischi connessi con le tecnologie impiegate e la difficoltà o l’impossibilità di limitare i danni. C’era solo una probabilità su un milione che un incidente come quello del Golfo del Messico potesse verificarsi, secondo gli esperti. Ma la necessità di individuare giacimenti in zone sempre più impervie aumenta la possibilità di eventi catastrofici e le difficoltà di contenimento.

Per quanto riguarda il nucleare, è vero che i nuovi impianti sono dotati di sistemi di sicurezza notevolmente migliorati rispetto al passato, ma siamo ben lontani dalla sicurezza intrinseca che impedirebbe l’influenza di errori umani. Le probabilità di un grave incidente sono inferiori a quelle delle trivellazioni off-shore, ma le conseguenze sarebbero ben più gravi. Oltre ai rischi e alle difficoltà di limitare gli impatti di gravi incidenti, un altro elemento accomuna queste due tecnologie energetiche. Più il tempo passa e più aumentano i costi legati al loro utilizzo. Le valutazioni del Mit sui costi “overnight”, cioè al netto degli oneri finanziari, dei nuovi reattori nucleari sono raddoppiate nel corso degli ultimi anni.
Analogamente la necessità di esplorare zone sempre più impervie, come quelle off-shore “ultradeepwater”, aumenta fortemente il costo marginale dell’estrazione del greggio.

Ma torniamo al disastro ecologico del Golfo del Messico. Nel suo messaggio del 15 giugno, il primo dallo Studio Ovale a sottolineare la gravità della situazione, Obama ha messo sotto accusa gli uffici che dispensavano con leggerezza autorizzazioni, ha chiarito che farà pagare alla BP i costi della perdita di petrolio che potranno ammontare a decine di miliardi di dollari e ha sottolineato la necessità di un cambio di rotta della politica energetica. «Dovremo puntare sulle energie pulite, anche se questa trasformazione sarà costosa» ha dichiarato. Va sottolineato che la posizione di Obama in questa vicenda è apparsa fin dall’inizio debole perché l’incidente è avvenuto poche settimane dopo lo sblocco da parte del Presidente delle trivellazioni in vaste aree del Golfo del Messico fino a quel momento vietate. Una decisione rischiosa, una concessione ai repubblicani per cercare di far passare la legge su energia e clima impantanata al Senato. Si tratterà di vedere se l’impatto emotivo delle immagini dell’oil spill, rimandate tutti i giorni dalle televisioni nelle case degli americani, aiuterà a superare le forti resistenze a un reale cambiamento energetico.

«Il momento di agire è adesso», ha esortato il Presidente. La sensazione è che in effetti nulla resterà come prima nelle strategie energetiche statunitensi e che l’efficienza energetica e le rinnovabili subiranno una forte accelerazione sia nelle politiche locali che in quelle federali.
Intanto la BP sta predisponendo un piano di risarcimenti con le banche per 50 miliardi di dollari. C’è chi ad alto livello si chiede se la Società ce la farà a sopravvivere o se verrà stritolata dalle conseguenze dell’incidente.

MUTANO GLI SCENARI DI PRODUZIONE ELETTRICA

La situazione nei Paesi industrializzati vede una riduzione delle previsioni di crescita della domanda elettrica a causa della crisi economica finanziaria, una disponibilità maggiore di gas naturale sul mercato internazionale, un’opposizione crescente al carbone, l’esplosione della crescita delle rinnovabili e i tentativi del nucleare di rialzare la testa. Partiamo dagli scenari di richiesta elettrica analizzando il caso dell’Italia. Secondo Terna, i valori di domanda osservati nel biennio 2007-2008 si ritroveranno solo nel 2012-2014 e quindi anche le previsioni pre-crisi al 2020 slitteranno in avanti di 3-5 anni.

Sul fronte del gas ci troviamo di fronte a un aumento della disponibilità sui mercati internazionali. Nei prossimi anni si prevede l’immissione di notevoli quantità di metano provenienti da giacimenti non convenzionali sfruttabili grazie all’introduzione di soluzioni di estrazione innovative che presentano però un notevole impatto ambientale.
Sul fronte del nucleare, gli scenari internazionali, anche nelle ultime più ottimistiche previsioni della IAEA, indicano un sostanziale mantenimento dell’attuale quota di generazione. L’Annual Energy Outlook 2010, recentemente pubblicato dal Governo USA, evidenzia in particolare la debolezza del rilancio atomico degli Stati Uniti. Al 2035 si passerebbe infatti dall’attuale 20% della domanda elettrica al 13% nel caso che a tutti i reattori venisse concesso un prolungamento a 60 anni della vita degli impianti; sarebbe limitato al 17% nel caso che venisse consentita l’attività dei reattori oltre il sessantesimo anno di attività.

In nessun caso quindi, i pochi nuovi reattori previsti sarebbero in grado di mantenere l’attuale share. In realtà, è improbabile che si realizzino prolungamenti di vita così estesi per diverse ragioni, incluse quelle dei costi. Si consideri che tra il 1974 e il 1998 ben 14 reattori nucleari sono stati chiusi prima del previsto a causa della loro non economicità. D’altra parte, i costi di adattamento per aumentare la vita di un impianto sono notevoli, tanto che in Francia l’EDF ha per ora rinunciato a chiedere l’estensione della vita all’Autorità di controllo. Diverso è il caso inglese, dove sia per reperire nuove risorse necessarie allo smantellamento del vecchio sistema nucleare – per il quale servono 79 miliardi di sterline, cifra destinata ancora a crescere -, sia per prendere tempo rispetto alla spinosa decisione di sostituire i vecchi reattori esistenti, sembra prevalere la decisione di prolungare per qualche anno la loro vita.

Tornando all’Outlook 2010, emerge un secondo dato interessante che riguarda proprio i costi. Negli USA, al 2020 l’elettricità prodotta da un nuovo impianto nucleare risulterebbe la soluzione più costosa seguita da carbone, vento e gas; al 2035 la classifica dei costi vedrebbe ancora al primo posto il nucleare, seguito dal carbone, dal gas e dal vento che a quella data risulterebbe la scelta tecnologica più economica. Ma anche dall’Europa arrivano notizie non proprio confortanti per i fautori del nucleare. Uno scarno comunicato della fine di giugno ha annunciato l’ennesimo slittamento dei lavori della centrale nucleare di Olkiluoto in Finlandia. Doveva essere il fiore all’occhiello per il lancio internazionale del reattore francese EPR, il modello che Enel intenderebbe installare anche nel nostro Paese. Invece ritardi ed extracosti si susseguono tanto che, se tutto andrà bene, il reattore inizierà a funzionare solo nel 2013, con quattro anni di ritardo rispetto alle previsioni.

Per le rinnovabili invece gli scenari delineano futuri sempre più rosei. Nello scorso editoriale (QualEnergia, n.2/2010) si indicavano i recenti studi che ipotizzano la possibilità di una totale copertura della domanda europea con energia verde verso la metà del secolo (Qualenergia, Rinnovabili 100%). A questi scenari si è aggiunta la IEA, solitamente conservativa nelle analisi sulle rinnovabili, che in un recente rapporto indica la possibilità che un quarto della domanda elettrica mondiale venga soddisfatta con tecnologie solari nel 2050.

SCENARI RINNOVABILI AL 2020

Chiudiamo tornando in Italia per parlare del Piano di azione nazionale per le energie rinnovabili previsto dalla Direttiva 2009/28, fatto circolare con rara puntualità dal Ministero dello Sviluppo Economico all’inizio di luglio. Ci soffermiamo su alcuni elementi che emergono da una prima lettura del documento.
Il primo riguarda l’impatto della crisi economica che ha portato a ritirare i valori dei consumi energetici finali europei rispetto alle stime effettuate nel 2005. Secondo le nuove elaborazioni, nel 2020 – anche senza nuovi interventi -, la domanda di energia si posizionerebbe al di sotto dei livelli del 2005. Il nuovo quadro rende quindi molto più agevole l’ottenimento dei tre obbiettivi sull’efficienza energetica, sulle rinnovabili e sulle emissioni climalteranti al 2020. Per quanto riguarda il nostro Paese, secondo il documento, l’attivazione di nuove misure sul lato dell’efficienza farebbe scendere i consumi finali al 2020 da 145,6 a 131,2 Mtep, cioè sui valori del 2008. Questo significa che nuovi interventi di efficienza comporterebbero secondo il Ministero una riduzione dei consumi del 10% rispetto allo scenario tendenziale. Un valore dimezzato rispetto al 20% indicato come obbiettivo non vincolante dalla Direttiva europea. In poche parole si punta meno di quanto sarebbe possibile sulla leva dell’efficienza energetica. Scelta opinabile considerando che si tratta proprio delle misure con minore impatto economico, o meglio che portano un vantaggio netto all’economia del Paese.

Il secondo elemento riguarda lo spazio che viene dedicato ai “parenti poveri”, cioè alle rinnovabili termiche. Spazio dovuto, in quanto per il 2020 si prevede una quintuplicazione del contributo di queste tecnologie. Può essere utile verificare le differenze tra gli scenari previsti da questo documento e i potenziali per le diverse tecnologie previsti dal position paper predisposto dal Governo nel 2007. La riduzione da 9,3 a 5,5 Mtep del contributo delle biomasse si spiega con il fatto che il position paper considerava i risparmi in energia primaria, mentre la Direttiva europea richiede i valori in consumi finali e tra i due valori c’è di mezzo l’efficienza degli impianti termici (dai camini alle caldaie ad alta efficienza).

La novità viene invece dall’introduzione della quota di 2,5 Mtep delle pompe di calore, decuplicando quindi il loro contributo rispetto al 2005, comparto che non era menzionato nel position paper ma che è stato conteggiato nel nuovo documento, visto che la Direttiva europea assimila le pompe di calore “ecolabel” alle rinnovabili.

Sul versante elettrico, nel documento vengono attualizzati in maniera ragionevole gli obbiettivi al 2020 rispetto a quelli che erano stati indicati nel documento del 2007. In particolare viene aumentata la previsione di crescita dell’eolico da 12 a 16 GW e si raddoppia quella delle biomasse che passano da 2,4 a 4,6 GW. Per il solare fotovoltaico si prevedono 8 GW contro gli 8,5 GW del precedente documento, valori che, ai tempi, diversi commentatori avevano giudicato fantasiosi. Si dimezza poi la previsione del solare termodinamico da 1 a 0,5 GW e scompare giustamente l’energia delle maree. Si tratta complessivamente di un adeguamento condivisibile che però sottostima decisamente il contributo del comparto fotovoltaico che potrebbe tranquillamente raddoppiare.

Per quanto riguarda gli strumenti da utilizzare per incentivare le rinnovabili, nel documento non si prevedono stravolgimenti. Sul versante elettrico si ipotizza di aumentare le quote di obbligo di energia verde e di razionalizzare il complesso sistema delle incentivazioni. Sul fronte termico si punta a un forte potenziamento dei certificati bianchi che non incidono sulla fiscalità generale. In realtà, come risulta dall’attacco ai certificati verdi, neanche questa scelta è esente da future minacce.

Cosa si può concludere? Che si tratta di un documento dignitoso che tiene conto di un contesto politico non particolarmente interessato allo sviluppo delle rinnovabili. Con un obbiettivo ridotto grazie agli impatti sui consumi energetici della crisi economica, con l’introduzione delle pompe di calore, resta francamente incomprensibile che l’Italia per raggiungere l’obbiettivo europeo al 2020 debba far ricorso a importazioni di elettricità verde.

Secondo una recente elaborazione delle associazioni ambientaliste, nel 2020 il nostro Paese potrebbe arrivare a coprire con le rinnovabili il 21,3% dei consumi, ben oltre il 17% richiesto dall’Europa. In particolare, sul versante elettrico si potrebbero generare 139 TWh “verdi” nazionali contro i 106 TWh previsti dal Piano d’azione governativo, riuscendo quindi a soddisfare con le rinnovabili alla fine di questo decennio il 38% della nostra domanda elettrica.

 

 

 

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