Quando il Comune ti vuole demolire l’impianto

A San Gimignano un ordine di demolizione a un piccolo impianto fotovoltaico ad inseguimento arrivato a 4 mesi dalla presentazione della Dia, con l'impianto installato e il mutuo da pagare: non rispetterebbe i dettami dei regolamenti comunali su edilizia e urbanistica. Ma sulla legittimità dei regolamenti comunali che stabiliscono dove realizzare gli impianti c'è chi ha qualche dubbio.

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Trovarsi con un impianto fotovoltaico installato e un mutuo da pagare quando dal Comune arriva l‘ ordine di demolirlo. Può succedere nella giungla italiana delle regole sulle rinnovabili, in cui Regioni e Comuni creano regolamenti tra loro disomogenei e nelle cui maglie è facile restare impigliati.

«Nel marzo 2009, dopo ripetuti colloqui con i tecnici comunali, abbiamo presentato la Dia per un impianto fotovoltaico da 7,56 kW – scrive a Qualenergia.it Roberto Senesi, un lettore di San Gimignano (SI) – dopo 20 giorni, con la documentazione timbrata dal Comune in mano, abbiamo comunicato la data di inizio lavori. Tutto è stato calmo fino al 13 luglio 2009, quando è stato effettivamente montato il sistema. A questo punto è scoppiato il finimondo: diffida lavori, ordine demolizione, ricorso al Tar».

L’impianto installato (vedi foto a lato) – un piccolo sistema a inseguimento in un'”area agricola dei sistemi collinari a maglia fitta”– infatti è stato giudicato incompatibile con il Regolamento urbanistico e quello edilizio, con conseguente ordinanza di rimozione. (Nella foto si vede comunque una tensostruttura bianca, sullo sfondo, che non ci pare, questa sì, affatto compatibile con il paesaggio.)

Nulla è valso il ricorso al Tar fatto da Senesi – che ora attende un’ulteriore sentenza dal Consiglio di Stato, al quale si è appellato. Nel frattempo il lettore si trova con un mutuo da quasi 60mila euro da pagare per un investimento che minaccia di non rientrare mai più.

La legge infatti sembra essere dalla parte del Comune. Il Regolamento urbanistico – adottato alcuni giorni dopo che Senesi aveva presentato la Dia – e il Piano strutturale, spiega a Qualenergia.it l’assessore all’urbanistica del paese, Simone Burgassi, “individuano le aree agricole a maglia fitta come invarianti di Piano, a fini di tutela paesaggistica, e che quindi impediscono l’installazione di qualsiasi impianto tecnologico. C’è poi il Regolamento edilizio (in vigore da 3 anni al momento della presentazione della Dia, ndr) che permette solo l’installazione di moduli a terra o sui tetti.”

Il problema è che quello in questione è sì un impianto installato nel terreno, ma secondo il Regolamento comunale si tratta di un impianto ‘non integrato’, cioè non assimilabile ai pannelli a terra propriamente intesi in quanto l’impatto è maggiore. “Una possibile soluzione, da valutare dopo la sentenza del Consiglio di Stato, affinché Senesi non perda completamente l’investimento – apre l’assessore – sarebbe trasformare il sistema in un impianto a terra. Ad ogni modo ora – dato il particolare pregio paesaggistico del nostro territorio giustamente tutelato dai nostri regolamenti – stiamo promuovendo incontri preliminari con i tecnici comunali per chi vuole realizzare gli impianti, affinché non si ripeta quel che è avvenuto in questo caso.”

Ma perché avvengono casi come questo? E ancora: è possibile che – nonostante nel periodo trascorso dalla presentazione della Dia all’installazione (4 mesi) non si siano avute obiezioni da parte del Comune – si debba modificare o peggio smantellare un impianto già realizzato? L’avvocato Lucia Bitto di Aper non lascia grandi speranze al lettore: “dal punto di vista formale l’impianto realizzato con semplice Dia deve essere comunque conforme a tutti i regolamenti comunali esistenti e anche trascorsi i 30 giorni l’amministrazione (comunale, ndr) non perde il potere di verificare la coerenza con la strumentazione e quindi l’impianto può essere bloccato“.

Il vero nocciolo della questione secondo l’avvocato di Aper è un altro: se regolamenti del genere siano o meno legittimi. “A nostro avviso non lo sono: la competenza sulla localizzazione degli impianti a rinnovabili sul territorio spetta alla Conferenza unificata e poi alle Regioni, non ai Comuni. Inoltre non spetta ai Comuni stabilire il grado di integrazione dei vari tipi di impianto, ma solo al Gestore servizi elettrici”.

 
Come uscire da questo conflitto di competenze che crea casi come quello raccontato? “Le linee guida nazionali, quando saranno approvate, forniranno un indirizzo preciso alle Regioni per stabilire quali aree sono idonee all’installazione degli impianti e quali no. A quel punto anche in materia urbanistica spetterà alla Regione recepire, il Testo unico sull’edilizia, la disciplina nazionale. Altrimenti, come nella situazione attuale ci troviamo con comuni che ammettono alcuni tipi di intervento ed altri che non lo fanno.”
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