Le promesse esagerate dell’Enel all’industria italiana

Per rendere meno indolore il programma nucleare Enel afferma che il 70% dell'investimento riguarderà la parte non nucleare che potrebbe coinvolgere imprese italiane. L'esperienza Edf dice che le percentuali vanno ribaltate. E poi ci sono i debiti dell'Enel e la sicurezza dell'Epr. Un articolo del direttore esecutivo di Greenpeace Italia, Giuseppe Onufrio, pubblicato su "Il manifesto".

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Nella sua infaticabile attività di agit-prop nucleare, Enel si appresta a presentare le luccicanti prospettive e opportunità per l’industria italiana del suo piano nucleare.
Secondo Enel, il 70% dell’investimento complessivo sarà nella parte non nucleare, e dunque potenzialmente oggetto di lavori per le imprese italiane. Il totale ammonterebbe a 11,2-12,5 dei 16-18 miliardi previsti per i 4 reattori, il cui costo secondo Enel è di 4-4,5 miliardi l’uno (era di 3-3,5 nel 2008).

Le informazioni presenti sul sito web di Edf (Electricité de France) dedicato al cantiere di Flamanville sono ben diverse: «la parte nucleare dell’impianto pesa per una quota pari al 60% dell’ammontare totale dei costi» e, dunque, il valore della parte convenzionale è del rimanente 40%. In altre parole, poco più della metà di quanto va raccontando Enel. Chi ha ragione, Enel o il suo socio francese?
Anche in Finlandia le valutazioni correnti affermano che solo 1/3 dei lavori è stato affidato a imprese locali. Il colosso francese Bouygues fa la parte del leone dei lavori nella parte non nucleare e, peraltro, anche dei ritardi per lavori di saldatura effettuati al di sotto degli standard di sicurezza, con due casi clamorosi, nell’agosto 2008 e di nuovo lo scorso ottobre.

Un secondo tema riguarda la capacità finanziaria della principale impresa elettrica italiana di effettuare investimenti di queste dimensioni. Pur avendo un fatturato poco inferiore a quello di Edf, Enel ha un indebitamento di 50 miliardi di euro contro i 24 del socio francese. Nei piani Enel il debito dovrebbe scendere a 41 miliardi nel 2013. Con quali risorse Enel pensa di finanziare il piano nucleare, che vale 25 miliardi?

Secondo le analisi di Citigroup, il colosso bancario Usa, per essere remunerativo, il prezzo di cessione non deve scendere mai sotto i 70 euro per MWh per un reattore costruito con soli due anni di ritardo, che costerebbe 6 miliardi di euro e non 4. Se negli ultimi anni in Italia questo prezzo è stato superato, non è detto lo sia per il futuro, visto che si prevede una «bolla del gas» per l’eccesso di capacità di importazione al 2020. I dubbi sul prezzo appaiono più che fondati.

Gran parte dell’indebitamento di Enel è legato alle rilevanti acquisizioni di Endesa in Spagna e alle altre varie operazioni in Slovacchia, Russia, Romania e Francia. A parte il cantiere Epr – il reattore di terza generazione – di Flamanville in Francia (il cui valore è pari a una quota minimale rispetto all’operazione su Endesa), quante imprese italiane operano già con le controllate di Enel all’estero?

Il colosso tedesco Siemens all’inizio del 2009 ha deciso improvvisamente di dismettere la sua quota in Areva Np, la società costruttrice dell’Epr. Le prospettive dell’Epr non sono forse così rosee per il gruppo Siemens? Sembrerebbe di no, tanto che Siemens si è orientata verso il nucleare russo. La bocciatura del sistema di emergenza dell’Epr, clamorosamente sancita lo scorso ottobre da un comunicato congiunto di tre agenzie di sicurezza nucleare (finlandese, inglese e francese) rivela anche un grave ritardo progettuale, non solo in cantiere.

L’Epr è dunque un prototipo di cui non è completo nemmeno il progetto e i cui costi sono di certo più elevati di quanto dicano i suoi promotori. E sulla tenuta del guscio di protezione rispetto a un incidente aereo l’agenzia di sicurezza inglese, nell’ultimo rapporto di novembre, valuta ancora insufficienti le informazioni fornite dal costruttore francese per dare un giudizio.

Dunque: sicurezza da dimostrare, quota non nucleare ridotta e costi ben più elevati di quanto propagandato da Enel-Edf. Tanto elevati che, secondo The Financial Times, il gruppo francese ha avviato una riflessione se reintrodurre più semplici reattori di seconda generazione, i Cpr 1000 – che ha smesso di costruire 20 anni fa – per i paesi clienti che fanno il loro ingresso nell’energia nucleare. Una gara d’appalto per 4 reattori negli Emirati Arabi Uniti nella quale i francesi proponevano l’Epr è stata vinta da un consorzio coreano con un’offerta di 20,4 miliardi di dollari. Areva ha commentato che evidentemente agli Emirati Arabi non interessa avere un reattore al top della sicurezza come l’Epr.

Per approfondire: “Bufale Nucleari. Quello che l’Enel non dice, lo dicono altri: EDF, STUK, Citigroup, AREVA” (breve report di Greenpeace Italia).

Giuseppe Onufrio (Greenpeace Italia)

Articolo pubblicato su Il manifesto (17 gennaio 2010)

 

19 gennaio 2010

 

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