I subprime delle emissioni che non aiutano il clima

  • 6 Novembre 2009

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Con un report, Friends of the Earth mette sotto accusa i sistemi "cap and trade" per ridurre le emissioni, come quello europeo. Rischiano di produrre bolle finanziarie senza aiutare veramente il clima. Intanto per la prossima fase dell'ETS europeo in vista sconti per 162 tipi di industria che rappresentano il 77% delle emissioni del settore produttivo.

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Il carbon trading non fa bene al clima anzi, rischia di scatenare una crisi finanziaria sul modello di quella dei mutui subprime. Ad attaccare i meccanismi di scambio delle emissioni, come l’ETS europeo e quello che Obama vorrebbe per gli Usa, non sono i repubblicani americani duri e puri in lotta contro il Climate Bill, ma gli ambientalisti britannici di Friends of the Earth. In un report pubblicato ieri, “A dangerous obsession” (vedi link in basso), l’associazione mette infatti in guardia dalle lacune del sistema per ridurre le emissioni basato sul mercato dei permessi, come quello in vigore in Europa e che a Copenhagen si cercherà di estendere a più paesi.

Nel 2008 lo compravendita della CO2 ha mosso 126 miliardi di euro: se i progetti di estendere il modello ETS agli altri paesi vanno in porto si potrebbe arrivare a 3.100 miliardi di euro nel 2020. Senza che però questo contribuisca sostanzialmente a rallentare il global warming: la maggioranza degli scambi dei permessi ad emettere – fa notare il report – non avviene tra paesi o industrie ad alto tasso di emissioni, ma tra banchieri e finanzieri che speculano sui mercati della CO2, impacchettando crediti ETS in prodotti finanziari sempre più complessi, paragonabili a quella “finanza ombra” cresciuta attorno ai mutui sub-prime che ha innescato l’attuale crisi.

Le conseguenze di puntare tutto sul meccanismo di mercato potrebbero così essere disastrose, non solo per l’economia, ma anche per il clima. I meccanismi “cap and trade” in vigore finora – denuncia Friends of the Earth – non hanno portato ai tagli delle emissioni promessi. Anzi, i paesi ricchi stanno usando questi meccanismi come “cortina fumogena” per evitare di ridurre veramente la CO2 e di aiutare i paesi in via di sviluppo a farlo. Sotto accusa specialmente i meccanismi di compensazione, cioè la possibilità di compensare le proprie emissioni investendo in progetti low-carbon altrove: secondo il documento questi progetti spesso non garantiscono riduzioni reali dei gas serra e il fatto di poter “delocalizzare” i tagli riduce anche lo stimolo a migliorare l’efficienza all’interno del proprio paese. Meglio per gli autori del report puntare su strumenti più diretti e trasparenti, come una tassa sulla CO2, investimenti pubblici e aiuti economici dai paesi ricchi a quelli poveri per affrontare il problema emissioni.

Quella di Friends of the Earth non è certo la prima critica dal versante ambientalista ai sistemi “cap and trade”. Una delle voci più autorevoli a caldeggiare da sempre una tassa diretta sulla CO2, anziché un sistema di scambio delle emissioni è quella del climatologo simbolo della lotta al global warming James Hansen (Qualenergia.it – “Caro Obama, meglio tassare la CO2”). Altre volte gli scarsi risultati ottenuti dall’ETS europeo sono stati criticati imputandoli al ruolo eccessivo dei meccanismi di compensazione (Qualenergia.it – “Se l’Europa vuol imbrogliare il clima”) o al prezzo troppo basso della CO2, derivato dalla quantità eccessiva di permessi gratuiti assegnati (Qualenergia.it – “Se la CO2 costa troppo poco”).

Inoltre dal punto di vista del prezzo dei permessi la situazione non pare in miglioramento neanche nella prossima fase dello schema europeo, che partirà dal 2013. Secondo l’analisi di Point Carbon per ridurre le emissioni concretamente la CO2 dovrebbe raggiungere un prezzo dai 50 agli 80 euro a tonnellata, ma difficilmente da qui al 2020 supererà i 40. Anche perché, pure nella seconda fase dell’ETS, i permessi gratis non si lesineranno. E’ di ieri infatti l’approvazione da parte della commissione Ambiente del Parlamento europeo della lista dei settori che riceveranno una quota di diritti gratuita ancora più generosa rispetto agli altri: i cosiddetti settori soggetti a “carbon leakage”, quelle industrie cioè che si teme possano delocalizzare se messe di fronte a limiti  troppo stretti.

La lista (vedi allegato), che sarà approvata definitivamente entro fine anno, ammette agli sconti 164 tipi attività ad alta intensità energetica che assieme sono responsabili del 77% delle emissioni totali del manifatturiero. Mentre in tutti i settori coinvolti nell’ETS – con l’eccezione della produzione elettrica – la quota gratuita di emissioni dal 2013 sarà dell’80%, da ridurre fino al 30% nel 2020, i settori “a rischio di fuga” (tra cui siderurgia, plastica, estrazione del carbone e raffinazione del petrolio) riceveranno gratis tutti i permessi per il 10% più efficiente delle installazioni. Con la decisione di ieri – che ha visto bocciare una mozione contraria a questa lista così estesa – l’industria pesante può dunque cantare vittoria, tanto più che l’elenco dei settori ammessi allo sconto potrà essere ampliato anche successivamente. Ne risentirà però ancora di più l’efficacia dell’ETS europeo.

 
 
 
GM
6 novembre 2009

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