Riduzione delle emissioni, paesi ricchi bocciati

  • 20 Ottobre 2009

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Uno studio del World Resources Institute analizza gli impegni sui gas serra dei paesi industrializzati: troppo scarsi. Le riduzioni oscillano tra il 10 al 24%, anziché dal 25-40% come indica l'Ipcc. Obiettivi spesso difficili da valutare e l'incognita dei meccanismi di compensazione e del cambio d'uso del suolo che dovrebbero essere invece riduzioni reali ed aggiuntive.

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Uno sforzo insufficiente. Gli impegni in materia di riduzione delle emissioni presi finora dai paesi ricchi nel complesso taglierebbero la CO2 dal 10 al 24% rispetto ai livelli del 1990. Molto lontano dalla raccomandazione dell’IPCC alle nazioni sviluppate: per avere qualche possibilità – precisamente una probabilità del 52% – di mantenere il riscaldamento globale entro 2 gradi dai livelli preindustriali le nazioni sviluppate devono tagliarle almeno dal 25 al 40%. È l’inadeguatezza dell’impegno di chi dovrebbe fare di più la conclusione più evidente dell’ultima analisi del World Resource Institute in merito agli obiettivi sulle emissioni dei paesi dell’Allegato 1 della Convenzione Onu sui cambiamenti climatici (UNFCCC).

Sotto la lente di “Comparability of Annex 1 Emission Reduction Targets”– questo il titolo dello studio WRI (vedi allegato) – gli impegni annunciati da Europa, Giappone, Russia, Nuova Zelanda, Australia, Norvegia, Bielorussia, Ucraina, Canada e Stati Uniti (in questo ultimo caso gli obiettivi contenuti nella versione provvisoria della legge sul clima, approvata per ora solo alla Camera). Paesi responsabili del 98% delle emissioni delle nazioni sviluppate. Scopo del lavoro è valutare gli impegni dei paesi industrializzati cercando un metro comune per confrontarli tra loro e con le riduzioni chieste dall’IPCC , al fine di agevolare la discussione a Copenhagen.

Interessante il modo con cui il lavoro scorpora i vari obiettivi: riduzione totale della CO2 rispetto alle diverse baseline (cioè l’anno di riferimento); riduzione procapite; riduzione dell’intensità energetica (cioè delle emissioni in rapporto al Pil). Si scopre così che nei paesi ex Urss le emissioni procapite, stando agli obiettivi annunciati, aumenterebbero, mentre calerebbero di più in paesi in crescita demografica come Canada e Australia rispetto all’Europa. Interessanti poi gli obiettivi di riduzione totale, quelli che veramente contano nei negoziati: considerando la baseline 1990, gli Usa, con il Climate Bill approvato alla Camera, ridurrebbero le emissioni del 2%, mentre senza conteggiare il cambio d’uso del suolo non le ridurrebbero affatto. Il Canada invece le aumenterebbe del 12%. Usando invece la baseline del 2005, che gli Usa vorrebbero fosse adottata a Copenhagen, i tagli statunitensi sarebbero del 14% mentre quelli canadesi del 21%, mentre il 20% rispetto al 1990 dell’Europa diverrebbe solo un -10%.

Gli obiettivi annunciati finora sull’arena internazionale sono quindi difficili da paragonare. E non solo per la scelta decisiva della baseline. Per molti paesi (gli esempi negativi sono Giappone, Russia e Bileorussia) mancano dettagli su come si ridurranno le emissioni climalteranti: non si sa, ad esempio, in che misura si conteggeranno nell’obiettivo i meccanismi internazionali di compensazione e il cambio d’uso del suolo. Quasi tutte le nazioni poi hanno annunciato obiettivi diversificati (ad esempio per l’Ue la riduzione del 20% salirebbe al 30% in caso di accordo internazionale ampio).

Da queste incertezze la forbice – dal 10 al 24% – nelle stime di quanto i paesi ricchi nel loro complesso riusciranno a tagliare. Valori che, come detto, anche nel migliore dei casi (-24%) non arrivano a quanto servirebbe per evitare gli effetti peggiori del global warming. A questo si aggiunga che nelle stime si ipotizza che le riduzioni effettuate tramite meccanismi di compensazione internazionali e i cambi d’uso del suolo siano a tutti gli effetti reali e aggiuntive, cosa niente affatto scontata. Un’incognita non da poco visto il ruolo che questi meccanismi hanno in molti piani di riduzione, in primis quello del più grande emettitore mondiale tra i paesi ricchi, ossia gli Usa.

Fondamentale, raccomanda il WRI, che i paesi ricchi si diano obiettivi più ambiziosi e che si stabiliscano standard e regole severe per far sì che i meccanismi di compensazione si traducano in tagli veri e aggiuntivi di gas serra e che le emissioni legate al cambio d’uso del suolo siano conteggiate con lo stesso metro in tutto il mondo.

GM

20 ottobre 2009

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