Un ponte contro natura

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Solo il Governo "non capisce la relazione" tra l'alluvione di Messina, il dissesto idrogeologico e i mutamenti climatici. Anzi, tira dritto sul progetto di Ponte sullo Stretto e non ritira il piano casa. Un articolo di Anna Donati, responsabile del Gruppo di Lavoro Mobilità del Kyoto Club.

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La tragedia “annunciata” di Messina con il suo carico di morte e sofferenza riassume le grandi istanze ambientali italiane del nostro tempo: il dissesto idrogeologico, il consumo di suolo, le varianti urbanistiche, condoni edilizi e uso dissennato del territorio; l’aumento del gas serra in atmosfera e il caos climatico con i suo eventi sempre più estremi e tropicali nel Mediterraneo; l’insistenza per la costruzioni di grandi opere inutili e “indifferenti” al territorio; la disoccupazione drammatica che colpisce il mezzogiorno d’Italia.

Bisogna partire da queste emergenze per dare risposte efficaci di tutela ambientale e occupazione duratura, una risposta concreta e non speculativa, che metta al centro il lavoro delle persone e la qualità del vivere. La messa in sicurezza del territorio, i cantieri utili e la riqualificazione delle città, le energie rinnovabili e la mobilità sostenibile, le produzioni di agricole di qualità, anche come agricoltura di presidio del territorio, sono gli ingredienti fondamentali di una buona ricetta per la sostenibilità.

Anche il Capo dello Stato, dopo la tragedia di Messina è intervenuto con parole molto nette: prima di realizzare opere faraoniche bisogna mettere in sicurezza il territorio. E tutti hanno pensato al Ponte sullo Stretto di Messina, l’opera simbolo del governo Berlusconi che costa 6,3 miliardi di euro.
Nemmeno le esortazioni di Guido Bertolaso, capo della Protezione Civile, hanno indotto una seria riflessione nel Governo, quando ha detto che per rendere sicuro il nostro territorio e mettere un freno al dissesto idrogeologico servono 25 miliardi di euro e che bisogna smettere di costruire in modo abusivo parti di territorio e città.

Niente da fare, non servono i morti e non servono gli autorevoli interventi: il Governo Berlusconi tira dritto sul progetto di Ponte sullo Stretto e non ritira il famoso piano casa di cementificazione selvaggia, dell’urbanistica “fai da te”. Tanto, è il ritornello ricorrente, Ponte, Piano Casa, dissesto idrogeologico e tragedia di Messina, sono cose diverse, che non c’entrano, e il ripeterlo in modo ossessivo è la miglior prova della “relazione”. Il Governo ha ammesso di non avere i 25 miliardi necessari (come una manovra finanziaria) e che quindi il Ponte sullo Stretto può andare avanti perché in fondo costa “solo” 6,3 miliardi, che per il 60% verranno da fondi privati.

Proprio in questi giorni è scaduto il mandato del commissario straordinario Pietro Ciucci, “l’uomo del Ponte” che è anche amministratore delegato della Società Stretto di Messina e Presidente di ANAS , che aveva il compito di presentare il nuovo piano finanziario evitando le forche caudine del Cipe. Secondo le prime indiscrezioni uscite dai giornali, il progetto preliminare, come detto, costa 6,3 miliardi di euro, sono prenotati 1,3 miliardi di euro da Fintecna (ma erogati di anno in anno secondo le disponibilità della legge Finanziaria, come ha voluto il Ministro Tremonti); il 40% dovrebbe provenire da risorse pubbliche e il 60% da capitale privato da ricercare sul mercato.

E’ la solita favola che abbiamo contestato e vissuto con la TAV ad alta velocità e le concessioni autostradali: che i privati siano disposti a rischiare capitale proprio per grandi opere. Niente di più falso e l’alta velocità ferroviaria, come in tutto il resto d’Europa, è stata pagata interamente con soldi pubblici e anche nel caso delle autostrade si è intervenuto con proroghe delle concessioni (per incassi sicuri) e con garanzie pubbliche di subentro alla scadenza delle concessioni.
Possiamo stare certi che il Ponte sullo Stretto lo pagheranno interamente i cittadini italiani. Eppoi si sono anche volatilizzati i mitici investitori giapponesi e si sono fatti di nebbia anche i fondi d’investimento americani: due soggetti oscuri che in passato erano stati invocati come interessati ad investire sul Ponte di Messina.

In realtà costerà ben più di quanto oggi preventivato, perché non abbiamo ancora il progetto definitivo, perché non sono ancora state risolte tutte le prescrizioni idrogeologiche, antisismiche e ambientali approvate dal Cipe sul progetto preliminare, e perché in Italia le opere continuano a lievitare nei costi quando si aprono i cantieri e lì tutti i nodi vengono al pettine.
Anche in questo caso si agitano le maxi-penali che impedirebbero di tornare indietro sul Ponte sullo Stretto, ma basterebbe riconvertire gli impegni assunti con Impregilo per opere utili alla difesa del territorio, programmando interventi basati sull’ingegneria naturalistica, non su nuove colate di cemento come spesso si trasformano in Italia anche questi interventi, come è il caso della Valtellina e del muro sul lago di Como, della copertura del torrente Bisagno a Genova e della cementificazione dei fiumi in Abruzzo, o ancora la copertura delle fiumare in Calabria.

Hanno fatto bene cittadini, comitati ed associazioni ambientaliste a protestare a Messina contro il Governo: i sei miliardi che si stanno impegnando per far costruire il Ponte sullo Stretto dovrebbero molto più saggiamente essere impiegati per risolvere i punti più pericolosi del dissesto idrogeologico, mettendo in sicurezza cittadini e territorio. E cercando nuove risorse, invece di tagliarle come avvenuto nell’ultima Legge Finanziaria.

Allo stesso tempo gli impegni per l’attuazione del protocollo di Kyoto e degli obiettivi europei 20-20-20 per il risparmio, l’efficienza energetica e la riduzione della CO2, sono vissuti dal Governo solo come un problema e un vincolo e non come una grande opportunità per cittadini e imprese di promuovere produzioni e vivere sostenibile.
Ma il Governo “non capisce la relazione” tra queste politiche e la tragedia di Messina e si ostina con vecchie ricette del passato e i soliti progetti sbagliati.

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