Ecodiplomazia nebulosa

  • 29 Settembre 2009

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Dal G20 di Pittsburg un impegno a medio termine contro i sussidi alle fonti sporche, ma null'altro per il clima. Mentre Obama  fa capire che l'accordo internazionale potrebbe arrivare anche dopo Copenhagen. Ma per l'Onu l'appuntamento di dicembre resta cruciale. In questa atmosfera ieri a Bangkok sono partiti i negoziati preliminari.

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Lunedì scorso il vertice al Palazzo di Vetro, giovedì e venerdì il G20 a Pittsburg, ieri l’inizio della sessione di negoziati per il clima a Bangkok. Stiamo percorrendo una dopo l’altra le tappe verso l’incontro di Copenhagen, ma, mentre mancano ormai poco più di due mesi al vertice in cui si deciderà come combattere il global warming, un accordo internazionale sul da farsi sembra sempre più distante.

Dal vertice di Onu di New York (vedi Qualenergia.it “Clima, la lunga strada da New York a Copenhagen”) sono arrivate aperture importanti ma p,oca concretezza. Le notizie giunte dal G20 di Pittsburg sono anch’esse in parte deludenti: al vertice dei 20 grandi il clima non ha il ruolo centrale che molti si aspettavano. Dall’incontro non è uscita, ad esempio, una posizione su come e quanto aiutare finanziariamente i paesi poveri a ridurre le emissioni e ad adattarsi al riscaldamento del pianeta, tema critico da affrontare a Copenhagen.

Unico risultato da Pittsburg, pur importante, quello sui sussidi alle fonti fossili: finanziamenti pubblici all’energia sporca per circa 300 miliardi di dollari all’anno (nelle economie dei G20) senza i quali, secondo le stime IEA, le emissioni mondiali al 2050 sarebbero il 10-12% in meno e le rinnovabili molto più competitive. Obama avrebbe voluto convincere i 20 grandi ad accettare un piano per eliminare gli aiuti alle fonti fossili in 5 anni, un obiettivo ambizioso dato la materia correlata con temi delicati quali la crescita economica nei paesi in via di sviluppo. Quello che ha ottenuto a Pittsburg è invece un generico impegno a eliminare i sussidi sul medio termine, secondo un piano da definirsi nei prossimi incontri.

Ma da Pittsburg è emerso soprattutto un nuovo atteggiamento degli Usa verso l’incontro Copenhagen che fa aumentare i dubbi sul successo dell’accordo a dicembre: Barack Obama inizia a mettere le mani avanti. Nei colloqui con capi di stato, il presidente Usa – riporta la stampa internazionale – avrebbe ridimensionato l’importanza di raggiungere un accordo forte entro la fine dell’anno. A Copenhagen avrebbe detto Obama “non si giocherà il tutto per tutto” (“make it or break it” l’espressione idiomatica usata). I negoziati danesi sarebbero, invece, solo “un passo intermedio nel processo per affrontare il problema”. Un’affermazione che contraddice l’importanza cruciale data dalle Nazioni Unite all’appuntamento e che pare una sorta di resa alla probabilità che al vertice di dicembre si concluda poco.

Un ritardo nei negoziati – è quello che diversi osservatori hanno desunto dalle esternazioni del presidente americano – avrebbe quindi l’appoggio degli Usa, che aprono così la porta a una “Copenhagen 2“. D’altra parte che i negoziati siano in stallo è un “rumor” che circola ormai con insistenza sulla stampa internazionale. E non per tensioni tra potenze emergenti e paesi ricchi, come si potrebbe pensare, ma per una frattura tra i due attori a parole più impegnati contro il global warming, cioè Stati Uniti e Unione Europea.  Lo scoglio – riportava la settimana scorsa il Guardian da fonti interne ai negoziati – sarebbe la piattaforma legale dell’accordo, a partire dal sistema di conteggio delle emissioni: gli europei vorrebbero conservare la struttura elaborata con il protocollo di Kyoto e gli americani invece vorrebbero che si ricominciasse da capo per stenderne una diversa.

In questa atmosfera si sono aperti ieri i negoziati sul clima di Bangkok, che andranno avanti per due settimane e nei quali si dovrebbero definire le basi dell’accordo di Copenhagen. Negoziati sui quali pesa anche l’incognita dell’impegno americano, dato che il Climate Bill Usa, che stabilisce la futura entità dei tagli delle emissioni, deve ancora passare l’esame del Senato e difficilmente sarà approvato prima del 2010. A impuntarsi per raggiungere assolutamente un accordo a dicembre a Copenhagen resta solo l’Onu, il cui segretario per i cambiamenti climatici Yvo DeBoer ieri a Bali ha spronato così i negoziatori: “I tempi non sono solamente pressanti, ma stanno ormai per scadere. Non c’è un piano B. E se non realizziamo il piano A il futuro ci chiederà conto delle nostre responsabilità. Qualcuno dice che alla fine di questo conto alla rovescia non c’è niente, ma voi sapete che non è vero.

GM

29 settembre 2009

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