Futuro nero come il carbone?

  • 18 Febbraio 2009

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Mentre Legambiente presenta un report sul carbone nostrano, nel mondo il dibattito sul futuro di questa fonte è vivace. Per James Hansen è la più grande minaccia per il pianeta, per altri è insostituibile perché economico e disponibile: la soluzione sarebbe la CCS. Ma è così conveniente il cosiddetto "carbone pulito"?

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“La minaccia più grande alla civilizzazione e alla vita sul nostro pianeta.” Nel suo ultimo intervento pubblico per chiedere che il mondo abbandoni al più presto il carbone James Hansen, direttore del Nasa’s Goddard Institute for Space Studies, non ha mezze misure. Dai alcuni grandi giornali lo scienziato pioniere della lotta ai cambiamenti climatici si rivolge ai governi del mondo ammonendo e rimproverando l’uso sconsiderato del “più sporco dei combustibili” e la costruzione di “fabbriche di morte”, così definisce le centrali a carbone. Solo accantonando questo combustibile, scrive, si può evitare il disastro climatico mantenendo la concentrazione di CO2 al di sotto delle 350 parti per milione.

Che il carbone sia probabilmente il principale responsabile del riscaldamento globale e che i suoi effetti negativi non si limitino a questo non è certo una novità (articolo Qualenergia.it). Ultimo report a ribadire il problema, questa volta a livello nazionale, è quello presentato da Legambiente: “Stop al carbone 2009” (vedi allegato). Le 12 centrali a carbone italiane producono il 14% del totale dell’energia elettrica a fronte dell’emissione del 30% dell’anidride carbonica liberata per la produzione complessiva di elettricità: 42,5 milioni di tonnellate di anidride carbonica nel 2007. Cioè 3,7 milioni di tonnellate in più rispetto ai limiti dalla direttiva europea sull’Emission trading scheme (Ets) nel 2007. Lo sforamento delle quote Ets da parte delle centrali a carbone dal 2005 al 2007 è costato 100 milioni di euro, scaricati sulle bollette degli utenti. Se dovessero partire anche i nuovi impianti già autorizzati o in corso di valutazione si aggiungerebbero al conto altri 38,9 milioni di tonnellate di CO2.

Ma il futuro del carbone è una questione calda in tutto il mondo. Un futuro che è legato alla praticabilità concreta del sequestro della CO2, la tecnologia CCS. Se l’opinione di Hansen, condivisa da molti ambientalisti (si veda il rapporto di Greenpeace in merito), è che la CCS sia “il trucco più sporco” per continuare sulla strada di questa fonte fossile, non manca nel dibattito chi ritiene indispensabile il carbone nel mix energetico mondiale e quindi urgente investire quanto più su questa tecnologia.

Per Mike Stephenson direttore del British Geological Survey, interpellato dal Guardian, la cattura della CO2 è l’unico modo per decarbonizzare la produzione elettrica britannica. A rendere più conveniente la tecnologia, spiega, il fatto che la CO2 sequestrata, potrebbe essere iniettata nei giacimenti petroliferi semiesauriti del mare del Nord, rendendo così più facile estrarre il petrolio rimanente.

Alla base dei ragionamenti di chi crede sia essenziale investire urgentemente sulla CCS, c’è il ruolo di primo piano del carbone nel mix energetico mondiale: il 41% dell’elettricità del pianeta viene prodotta così. Paesi tecnologicamente avanzati come gli Usa contano sul carbone per oltre la metà del loro fabbisogno elettrico e tra India e Cina le centrali a carbone si costruiscono a ritmi di una al mese. Altro argomento l’ampia disponibilità di questo fossile: “il carbone sarà disponibile per almeno un altro secolo e paesi come India, Cina e Russia hanno ampie riserve – argomenta Stephenson – non importa quello che diciamo che si dovrebbe fare, se c’è carbone sottoterra saranno tentati ad usarlo. L’unica opzione è renderlo sicuro ed ecologicamente compatibile”.

A mettere in dubbio questa visione Tom Konrad, analista finanziario, ospite di Grist.org. Il carbone – spiega – non sarebbe così abbondante né conveniente economicamente. Nella sua analisi Konrad ricorda, infatti, i diversi studi (vedi articolo Qualenergia.it) che rivedono al ribasso la stima delle riserve di carbone mondiali: un lavoro di Energy Watch, ad esempio, prevede che la produzione raggiunga il picco già nel 2025. Negli Usa il problema della scarsa disponibilità sarebbe ancora più forte. Una questione che l’introduzione della tecnologia CCS aggraverebbe, dato che, come rivela uno studio del MIT, con la cattura della CO2 servirebbe dal 33% al 61% di carbone in più per produrre la stessa quantità di elettricità. La tecnologia comporterebbe un aumento di costi di 2-3 centesimi di dollaro a kWh, rendendo il carbone meno conveniente di eolico e geotermia. Un problema quello dei costi che emerge anche dall’articolo del Guardian in cui si parla di 50 sterline per ogni tonnellata di CO2 sequestrata.

Intanto sul futuro del carbone americano si stende un’altra ombra: martedì Lisa Jackson, la direttrice dell’EPA nominata da Obama, ha riaperto nuovamente la questione della regolamentazione delle emissioni delle centrali a carbone, facendo intendere che sarà l’EPA ad agire in tal senso, come si era prospettato quest’autunno prima che Bush bloccasse la cosa. Se ciò avvenisse sarebbe di fatto una moratoria sulle nuove centrali e una vittoria per chi ha a cuore il clima.

GM

18 febbraio 2009
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