I costi nascosti del carbone

CATEGORIE:

Ancora economico sul mercato, il carbone costa caro all'ambiente e alla collettività. Un rapporto di Greenpeace International quantifica i costi nascosti di questa fonte: nel solo 2007 circa 356 miliardi di euro per i danni alla salute e all'ambiente che ha provocato.

ADV
image_pdfimage_print
Sovente, abbiamo visto su queste pagine, le scelte migliori per l’ambiente sono anche convenienti dal punto di vista economico, cosa tanto più vera quanto più si ragiona sul lungo termine. L’economia però, purtroppo, è mossa da attori che ragionano sul breve o brevissimo periodo, quasi sempre i privati, molto spesso la politica. La cosa ancor più pericolosa del nostro sistema economico, inoltre, è che di ogni azione vengono ignorati sistematicamente tutta una serie di costi, quelli sociali e ambientali, difficili da monetizzare, che vengono così scaricati sulla collettività. Succede così che, se si riuscissero a stimare tutti i costi legati a una scelta, si scoprirebbe che opzioni giudicate economicamente convenienti nella realtò non lo sono affatto.

Un ottimo esempio di questo concetto è contenuto nell’ultimo report di Greenpeace sul carbone, “The true cost of coal” (vedi in allegato), il vero costo del carbone. Il carbone, infatti, è considerata la fonte energetica più economica, ma nel suo prezzo di mercato sono compresi solo i costi legati all’estrazione, al trasporto e alle tasse, non i costi esterni connessi ai gravi impatti per l’ambiente e per la salute. Oltre a fornire un reportage dei danni fatti dalla filiera del carbone in vari posti del mondo, il report, con la collaborazione dell’istituto indipendente olandese “CE Delft”, tenta appunto di quantificare i costi nascosti di questo combustibile fossile.

Innanzitutto ci sono le emissioni di gas serra e i relativi effetti sul riscaldamento globale (il carbone è responsabile del 41% delle emissioni mondiali di gas serra e del 72% di quelle per la produzione di elettricità), ma i costi del carbone – sottolinea il documento – sono molti altri: deforestazione, distruzione di interi ecosistemi, contaminazione di suoli e acque (le centrali a carbone sono la prima fonte al mondo di dispersione di mercurio), violazione di diritti umani sia dei lavoratori che delle comunità che vivono nei pressi delle miniere, delle centrali e dei siti di stoccaggio. Impatti che si tramutano in danni monetizzabili, come malattie respiratorie, incidenti nelle miniere, piogge acide, inquinamento di acque e suoli, perdita di produttività di terreni agricoli, cambiamenti climatici e altro ancora.

Tutti costi di cui l’industria del carbone non risponde e che “The true costo of coal” quantifica per il solo 2007 in 356 miliardi di euro: gli impatti sulla salute lungo tutta la filiera del minerale costano circa 1 miliardo, mentre il grosso dei costi esterni, 355 miliardi, è dovuto alle emissioni di gas serra. Una cifra quella fornita dal report – sottolinea Greenpeace – che ancora sottostima i costi reali: considera, infatti, solo i danni per cui esistono dati affidabili a scala mondiale – cioè cambiamenti climatici, impatti sulla salute umana e incidenti nella lavorazione – mentre non tiene conto di altre voci come l’inquinamento, le violazioni dei diritti umani, la distruzione di ecosistemi.

Anche da questa stima approssimata per difetto è chiara comunque l’enormità di quello che il mondo perde ogni anno per gli effetti collaterali di questa fonte energetica definita ancora “economica”: in dieci anni i costi esterni danno una cifra pari a circa sei volte quanto è costato agli Stati Uniti salvare le proprie istituzioni finanziarie dalla crisi. In Cina dove si fa ricorso al carbone per i due terzi del fabbisogno energetico nazionale – aveva segnalato un precedente rapporto sempre di Greenpeace in collaborazione con alcuni economisti cinesi – i costi esterni del carbone sono pari a 7 punti di prodotto interno lordo.

Ad aggravare il tutto c’è il fatto che la quota del carbone nel mix elettrico mondiale è in continua crescita: aumentata del 30% dal 1999 al 2006, se le tutte le centrali in progettazione al momento attuale venissero realizzate da qui al 2030 crescerebbe di un altro 60%, vanificando in pratica ogni sforzo per ridurre le emissioni di CO2.

Si è calcolato che le 150 centrali che quattro anni fa si sareberro dovute costruire negli Usa (progetti per ora ancora fermi) avrebbero emesso più CO2 di quanta ne devono ridurre i paesi che hanno firmato il Protocollo di Kyoto tutti assieme. Non è un caso dunque che per presentare “The true cost of coal” Greenpeace abbia scelto proprio Varsavia, capitale della Polonia, paese europeo che più conta su questa fonte energetica, neo alleato dell’Italia nella resistenza al pacchetto-clima Ue, ma soprattutto ospite del primo incontro internazionale sul clima per decidere sul post-Kyoto, quello iniziato oggi a Poznan.
 
Potrebbero interessarti
ADV
×