Il piano energia firmato Al Gore

  • 12 Novembre 2008

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In un editoriale sul New York Times l'ex vicepresidente democratico fa incrociare le strade della lotta al global warming con quelle della crisi economica. Propone agli Stati Uniti di Obama un piano in 5 punti per il 100% di elettricità da rinnovabili in 10 anni.

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“L’entusiasmante e rivoluzionaria scelta del popolo americano di eleggere Obama come nostro 44°presidente pone le basi per un altra scelta fatidica: lui – e noi – dobbiamo fare di questo prossimo gennaio l’inizio di un salvataggio d’emergenza della civiltà umana dalla minaccia crescente e imminente posta dal problema del clima”. Inizia così l’editoriale sul New York Times in cui Al Gore commenta l’elezione del nuovo presidente e parla delle prospettive che che si potrebbero aprire.

Un lungo articolo di fondo nel quale l’ex vicepresidente americano, paladino della lotta contro i cambiamenti climatici, coglie l’occasione per riproporre le sue idee su riscaldamento globale, politica energetica e crisi economica. “La notizia positiva – esordisce Gore – è che i passi audaci da fare per combattere la crisi climatica sono gli stessi da compiere per risolvere la crisi economica e il problema della sicurezza energetica“.

Che investire in un settore in grado di creare molti posti di lavoro come quello delle rinnovabili sia la soluzione per riavviare in modo veloce e sostenibile l’economia – sottolinea l’ex-vicepresidente – è un’idea che trova d’accordo economisti schierati sulle posizioni più diverse. D’altra parte i miliardi di dollari spesi ogni anno a causa della dipendenza dal petrolio estero sono una vera e propria palla al piede, senza contare – aggiunge Gore – la vulnerabilità del paese nel caso dovesse perdere l’accesso all’area petrolifera mediorientale o il fatto che il picco globale della produzione, se non è già stato superato, è molto vicino.

La soluzione per l’indipendenza energetica però – scrive – non va cercata in una maggior produzione di fonti fossili in casa. Il petrolio (che negli Usa ha superato il picco oltre trenta anni fa), le sabbie bituminose o il carbone – spiega Gore – sono fonti troppo inquinanti, troppo costose, o nel caso del carbone cosiddetto pulito “troppo immaginarie”; la tecnologia della carbon capture, sottolinea infatti l’ex-vicepresidente democratico, è ancora lontana dall’applicabilità e puntare su questa soluzione sarebbe solo “un’illusione cinica ed egoista”.

Per risolvere la situazione – esorta Gore – bisogna “mettere al lavoro la gente per rimpiazzare le tecnologie del 19esimo secolo, pericolose, costose e basate su combustibili a base di carbonio, con tecnologie del 21esimo secolo che usano combustibili che saranno gratuite per sempre: il sole, il vento e il calore naturale della terra”. Per farlo l’autore di “An inconvenient truth” indica un piano in 5 punti per il futuro energetico degli Usa, che porterebbe il paese ad avere “entro 10 anni il 100% dell’elettricità da fonti non fossili.

Primo punto: costruire grandi impianti di solare termico nelle pianure aride del sud-ovest, installazioni eoliche nel corridoio dal Texas al Dakota, centrali geotermiche nei punti “caldi” del paese. Secondo: realizzare una rete elettrica “intelligente” per trasportare l’energia prodotta dalle rinnovabili (un investimento che costerebbe 400 miliardi di dollari in 10 anni, che vanno però raffrontati, sottolinea Gore, ai 120 che vengono persi ogni anno per l’inadeguatezza della attuale rete). Terzo, occorre aiutare l’industria automobilistica a convertirsi realizzando ibridi di tipo plug-in che si integrerebbero benissimo nel nuovo sistema elettrico. Quarto punto, migliorare l’efficienza energetica degli edifici che negli Usa sono responsabili del 40% delle emissioni di CO2.

Il quinto punto del programma di Al Gore, infine, parla di mettere un freno alle emissioni con una tassa nazionale sulla CO2 e guidare gli sforzi mondiali per trovare una soluzione per il post-Kyoto, l’anno prossimo a Copenhagen, con un trattato più efficace che tagli significativamente le emissioni globali di anidride carbonica, incoraggi le nazioni a investire assieme efficientemente per rallentare il riscaldamento globale, anche riducendo drasticamente la deforestazione. Occorre, scrive Gore “ristabilire l’autorità morale e politica degli Stati Uniti per guidare il mondo verso una soluzione”.

 
Un piano molto difficile da raggiungere in così poco tempo, ma che Al Gore vuole assimilare alle grandi imprese nello spazio della potenza a stelle e strisce. “Tempo addietro il presidente John F.Kennedy lanciò la sfida di portare l’uomo sulla luna nel giro di dieci anni – conclude galvanizzante il fondo di Gore – 8 anni e 2 mesi dopo Neil Armstrong posava il piede sulla superficie lunare. L’età media degli ingenieri che festeggiarono l’Apollo 11 dalla sala di controllo di Houston era di 26 anni, che significa che quando Kennedy annunciò la sfida ne avevano circa 18. Allo stesso modo quest’anno è emerso il ruolo e l’entusiasmo dei giovani americani nella campagna di Obama. Ci sono pochi dubbi che questi stessi giovani svolgeranno un ruolo essenziale nel progetto di rendere sicuro il nostro futuro nazionale, trasformando obiettivi che sembravano impossibili in entusiasmanti successi”.

Un editoriale di incitazione e speranza per la nuova pagina che gli Stati Uniti si apprestano a scrivere nella lotta al global warming. Ci chiediamo se ci sarà un ruolo per Al Gore nell’amministrazione Obama, ma a prescindere da questo, sarà importante capire se questo paese, capace di grandi imprese, rivolga finalmente le sue potenzialità verso traguardi ambiziosi e utili che siano da traino anche per il resto del mondo.

GM

12 novembre 2008

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