Il ritardo industriale e culturale dell’Italia

  • 21 Ottobre 2008

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Lo scontro frontale tra Governo italiano e Unione Europea su clima ed energia aggraverà l'isolamento del nostro paese. Un commento di Gianni Silvestrini sulla strategia di retroguardia attuata in questi giorni dal nostro paese.

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Quali riflessioni si possono trarre dalla posizione ostile dell’Italia nei confronti dell’Unione Europea sulla questione del clima?
L’Europa ne esce bene perché arriverà nei tempi previsti a definire il pacchetto 20/20/20, eventualmente con un voto a maggioranza qualificata, presentandosi ai prossimi tavoli negoziali in posizioni di forza con un proprio obbiettivo unilaterale. Insieme al prossimo presidente statunitense (meglio se sarà Obama, ma il discorso vale anche per McCain) la UE potrà così giocare in modo intelligente le carte del mondo industrializzato al fine di coinvolgere gli altri paesi in un accordo mondiale al 2020.

La Prestigiacomo è stata mandata avanti con il rischio di bruciarsi come ministro dell’Ambiente, mentre Scajola ha mantenuto una posizione più defilata. Berlusconi vedrà crescere l’ostilità nei suoi confronti di buona parte dell’opinione pubblica europea. Il Presidente del Consiglio, peraltro, rilancia ancora oggi la partita, ma l’Italia è sempre più messa in un angolo.
Tutto ciò a causa di un “complotto comunista” ordito dalla leader di centrodestra Angela Meckel che ha fatto passare il 7 marzo dell’anno scorso il pacchetto 2020, dal presidente conservatore della Commissione Europea José Barroso che ha affermato che gli obbiettivi non si devono toccare, dal Commissario all’Ambiente, il conservatore greco Stavros Dimas, che si è detto allibito di fronte alle cifre italiane, per finire con l’attuale presidente di turno del Consiglio Europeo il leader francese di centrodestra Nicolas Sarkozy che dichiara “drammatico il no italiano”.

Risultato: un’Italia isolata in una battaglia di retroguardia che si trova relegata in seconda fila insieme a Cipro e ai paesi dell’Est che arrancano (se saranno confermate le affermazioni italiane, non suffragate perlato da posizioni ufficiali di questi Stati). Il resto dell’Europa accetta, invece, la sfida mondiale e accelera la transizione energetica.

Anche Confindustria non ne esce bene. Alcune delle argomentazioni degli industriali italiani erano fondate, dagli obbiettivi squilibrati per il settore auto ai rischi di “carbon leakage”, con la possibilità di trasferimento all’estero di alcune produzioni, alle modalità di assegnazione dei certificati nello schema ET. Risultato di una trattativa impostata male e terminata peggio. Alla fine si troveranno, in molti casi, risposte equilibrate ai vari problemi e si introdurranno quelle flessibilità nel raggiungimento degli obbiettivi che erano comunque già previste.

Un’ultima riflessione di carattere culturale: anche se le posizioni e le sensibilità sono molto differenti tra centrosinistra e centrodestra, questo conflitto segnala un ritardo complessivo della leadership politica economica e culturale del nostro paese che, non avendo compreso la gravità della situazione climatica, non si è attrezzata per la rivoluzione energetica e industriale ormai già in atto.

Gianni Silvestrini

21 ottobre 2008

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