Obiettivi 2020, l’Italia rema contro l’Europa?

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L'Italia cerca sconti sugli obiettivi per le emissioni, le rinnovabili e l'efficienza energetica al 2020. Un documento ministeriale stima costi annuali tra i 23 e i 27 mld di Euro. Ma le cose non stanno così. L'editoriale di Gianni Silvestrini.

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Si sta scaldando il dibattito in vista del Consiglio Europeo del 15 ottobre in cui si discuteranno le modalità di raggiungimento nei singoli paesi degli obiettivi climatici al 2020, il famoso 20-20-20.
Questo spiega l’uscita di documenti ministeriali che evidenziano costi altissimi legati al raggiungimento degli obiettivi per il nostro paese. E la partenza in missione esplorativa nelle capitali europee del ministro per le politiche comunitarie Ronchi, per cercare di ottenere improbabili sconti ambientali (remando, ironia della sorte, nella direzione opposta a quella del suo omonimo ex ministro dell’ambiente).

La partita è alta ed è opportuno fare un po’ di chiarezza. Partiamo dalla conclusione di un documento del Ministero dell’Ambiente, dove si afferma che i costi per l’Italia oscillerebbero tra 23 e 27 miliardi €/anno, una cifra pari all’ammontare di una Legge finanziaria. E tutto questo, si legge nel documento, per ottenere una riduzione di un misero 0,3% delle emissioni mondiali. Insomma, tanto rumore per nulla.

Ma le cose non stanno così. Il contributo europeo alle emissioni mondiali si situa subito dopo quello della Cina e degli Usa. E’ chiaro a tutti, dunque, il ruolo politico della UE nelle trattative per il post-Kyoto. La decisione europea di ridurre unilateralmente del 20% le emissioni al 2020 ha già dato una scossa ad una azione diplomatica che rischiava di arenarsi. Di più, l’Europa dice di voler alzare l’asticella delle riduzioni al 30% se l’anno prossimo si raggiungerà un accordo globale. I rappresentanti francese e inglese hanno recentemente ribadito questo passaggio.

In questo contesto, l’impegno italiano, con un taglio del 13% nei settori non sottoposti alla direttiva Emissions Trading, rappresenta un parte importante della sfida del Vecchio Continente, decisiva per spingere nel 2009 verso un accordo tra tutti i paesi. Accordo che sarà reso più facile dal cambio di presidenza Usa. McCain infatti ha affermato di volersi impegnare nei negoziati delle Nazioni Unite e di prevedere incentivi per un rapido coinvolgimento di India e Cina. Obama, ancora più chiaramente, vuole che gli Stati Uniti riconquistino un ruolo guida e che Cina e India definiscano i propri impegni.

Dunque l’impegno italiano è importante dentro quello europeo proprio per coinvolgere Cina e India. Questo è un pezzo del ragionamento, l’altro riguarda le occasioni di trasformazione interna del sistema energetico-industriale.
E qui torniamo ai costi. I numeri mirabolanti sopra indicati (23-25 miliardi €/a), sono assolutamente più elevati rispetto a quelli degli studi che sono finora circolati. Ad iniziare dalle stime stesse fatte dall’Unione Europea che indicano un costo che comporterà una riduzione annua della crescita del PIL compresa tra lo 0,04 e lo 0,06%.

Dunque è chiaro che si tratta di elaborazioni fatte per cercare di strappare impegni minori per il paese, articolando la solita battaglia di retroguardia che impedisce di mettere a fuoco le potenzialità di una strategia d’attacco.
Tanto per chiarire come stanno le cose e quali possono essere gli impatti positivi di una seria politica sul clima, riportiamo le conclusioni di uno studio di McKinsey reso pubblico nei giorni scorsi. Secondo questa analisi, l’Europa potrebbe arrivare a stabilizzare i suoi consumi energetici nel prossimo decennio, grazie a risparmi pari a 440 Mtep, allineati con la riduzione del 20% dei consumi chiesti dalla UE, con un vantaggio economico netto per la collettività. Un’ulteriore conferma che gli investimenti sul lato dell’efficienza energetica rappresentano un evidente ritorno economico positivo, specie nell’attuale contesto di alti prezzi dell’energia.

Conti tutti da rifare dunque per l’Italia… Invece di confondere le acque con immaginifici costi stratosferici, impegniamoci a trasformare in opportunità per la nostra industria il gigantesco boom di investimenti verso le tecnologie dell’efficienza energetica e le fonti rinnovabili che è partito nel mondo. La Germania in pochi anni ha creato 250.000 posti di lavoro nelle rinnovabili, equivalenti all’occupazione di molti stabilimenti della Fiat. E noi quale strada vogliamo prendere?

 

 

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