Colloqui su architettura ed energia (2)

  • 10 Aprile 2008

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La seconda parte dell'incontro che Qualenergia.it ha avuto con Thomas Herzog e Federico Butera sul futuro dell'edilizia anche in chiave energetica.

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In questo articolo la seconda parte dell’incontro che Qualenergia.it ha avuto con il Prof. Thomas Herzog, uno dei massimi esponenti dell’architettura bioclimatica e dell’edilizia ecosostenibile e con il Prof. Federico Butera, professore ordinario di Fisica Tecnica Ambientale presso il Politecnico di Milano, sui temi dell’edilizia e dell’energia. La prima parte è stata pubblicata ieri, 8 aprile.

(seconda parte)

Gianni Silvestrini (Qualenergia)
Ritorniamo al tema dell’energia. Non credi che se dal punto di vista impiantistico devo adattarmi a più futuri flessibili dovrò rivoluzionare gli impianti oppure vincolare il numero di funzione alternative?

Thomas Herzog
Cambiare i sistemi. Questa è la parola d’ordine. Facciamo molte cose come una conseguenza di una cultura edile normale e necessaria, ma dobbiamo capire che non è l’unica possibile. Se metto prese e interruttori nelle normali posizioni, se metto i radiatori sul muro, come si fa tradizionalmente, perché qualcuno ha detto che i tubi non si devono vedere, e vanno posizionati all’interno del muro, così come i cavi, ritengo che questa regola, questa pratica, non vada modificata. Ma secondo me una regola aurea è che non dobbiamo continuare a dire che quello che serve è già nella categoria delle soluzioni. Al contrario, dobbiamo identificare i servizi che ci servono veramente. Voglio dire che non necessariamente deve avere un radiatore alimentato da un tubo che viene fuori dal muro. L’aspetto essenziale che devo prendere in considerazione è che in inverno si deve riscaldare l’ambiente e raffrescarlo d’estate. Come lo risolvo è poi altra cosa. Se entro di notte in un ambiente buio devo avere una illuminazione artificiale. Ma non va stabilito a priori come fare. La caratteristiche di tutte la normativa è che quasi sempre ti dicono già quali sono le soluzioni da adottare. Questo è sbagliato. Le norme possono richiedere un certo quantitativo di chilocalorie, ma non ti dovrebbero obbligare a risolvere tecnicamente il problema in un determinato modo.
Quindi bisogna ripensare l’architettura. Per esempio, nell’edificio di cui ho parlato prima non abbiamo inserito la climatizzazione tradizionale, ma permesso il ricambio d’aria inventando un nuovo sistema di facciata.

Leonardo Berlen (Qualenergia)
Lei sta dicendo che c’è una grandissima potenzialità di innovazione e che c’è troppa consuetudine nelle soluzioni legate all’edilizia.

Herzog
Sì, questo è il punto. Volendo l’innovazione dobbiamo prevedere la necessità di non dare le soluzioni, il tavolo deve essere libero.
Cambiare è possibile. Nel caso di un concorso in Germania che ha fatto la Fondazione tedesca per l’ambiente venne fornita una lista di consumi energetici massimi accettabili, anche molto rigorosi (per il calore, la ventilazione, l’elettricità, ecc.) ed anche per ciò che riguardava la cosiddetta “energia grigia”, l’energia inclusa nei materiali. Il tutto era condizionato ad una certa flessibilità interna e con un limite di budget. Poi ci hanno informato sulle modalità di controllo dell’intero sistema. La novità è che però hanno lasciato aperto tutto il resto.
Tuttavia queste indicazioni erano una foto di quel momento. In due e tre anni si sono verificati notevoli cambiamenti delle funzioni di questa istituzione. Addirittura già nel corso della costruzione ci sono stati dei mutamenti. Quindi abbiamo deciso di reagire subito, ma senza distruggere, inventando una nuova struttura portante, un altro tipo di struttura del tetto, un altro tipo di sistema di distribuzione.
È un lavoro interessante, difficile, ma realizzabile se fatto con un gruppo di esperti competenti. Può essere però molto costoso.
A questo riguardo dobbiamo, inoltre, tenere presente che nei costi di questo tipo di progettazione il cliente non paga quelli legati alla sperimentazione e alla ricerca, ma solo per una pianificazione corretta in base alle norme esistenti e normalmente sappiamo che non è un mecenate.
Ma se, grazie alla ricerca, riesco a ridurre drasticamente i consumi energetici posso consentire di ripagare la struttura edilizia già entro 2 o 3 anni. Ottenere questi risultati attraverso un lavoro di squadra significa conseguire un guadagno importante, che nel tempo diventa ancora più significativo alla luce dell’aumento dei costi dei combustibili fossili. Ma è importante comprendere che per progettare in modo innovativo e raggiungere questi risultati bisogna lasciare aperte tutte le soluzioni.

Butera
Quello che sta succedendo in Italia con le leggi relative alla certificazione assomiglia alla rappresentazione della classica frase di Tomasi da Lampedusa “cambiamo tutto perché nulla cambi”. Cosa sta accadendo in realtà? Abbiamo centinaia di corsi di formazione per professionisti su come brutalmente si deve riempire una casella di un foglio excel che simula, bene o male, il comportamento di un edificio e qui finisce tutto. In sostanza stiamo trattando l’edificio e la problematica energetica alla stessa stregua con cui si fa la certificazione di conformità dell’impianto elettrico alle regole di sicurezza. Ma la questione è diversa, per quello che andrebbe fatto è invece di insegnare seriamente, con corsi più approfonditi, a progettare in maniera corretta dal punto di vista energetico. Altri corsi andrebbero fatti agli impiantisti. Se l’architetto resiste alle innovazioni e al modo di progettare che gli hanno insegnato, per l’impiantista la situazione è persino peggiore; perché va ricordato che l’impiantista guadagna soprattutto sulla ripetitività.

Berlen
Quali sono le regole entro cui muoversi lo decide il responsabile pubblico creando, come abbiamo visto, una certa rigidità che vincola gli interventi e dai quali spesso non è possibile uscire. Serve quindi più informazione e formazione per il decisore pubblico?

Federico Butera
Questo problema della formazione della conoscenza e del suo contrasto con il metodo prescrittivo e prestazionale per rispondere a specifiche esigenze nasce dal fatto che la burocrazia e l’autorità pubblica ha un compito di controllo più semplice se si espleta nella valutazione di un semplice riempimento di caselle. Se si deve, invece, controllare la qualità energetica di una abitazione il responsabile deve essere bravo quanto il progettista. Quindi serve un livello di preparazione di chi controlla molto più elevato di quanto oggi si possa riscontrare. E’ questo il tema più spinoso.

Berlen
Parlando del parco edilizio esistente in Italia potremmo ritenere che oltre il 60% andrebbe ricostruito o ristrutturato su principi architettonici ed energetici innovativi. Esiste quindi un potenziale enorme per un’industria del settore e per le competenze da attivare. Questa opportunità non dovrebbe essere spinta maggiormente?

Butera
Sono convinto di una cosa: sull’edificio esistente si può fare qualcosa ma i vincoli sono enormi. Posso mettere un vetro migliore per una finestra, in alcuni casi un buon isolante, un po’ di solare. Vincoli alla riduzione della domanda di energia del patrimonio edilizio esistente in Italia fino al 1950 ce ne sono tantissimi, ma per le costruzioni dei decenni successivi la situazione è peggiore e vista la cattiva qualità dell’edilizia converrebbe addirittura smontare le facciate per ricostruirle.
Di fronte alla necessità di ridurre di un fattore 10 il consumo energetico per la climatizzazione nel nostro mondo sviluppato, vedo come unica soluzione l’approccio a livello di quartiere: cioè di passare alle tecnologie di generazione dell’elettricità, del calore e del freddo attraverso la generazione distribuita, costituita da microcogenerazione e trigenerazione alimentata anche da biofuels veri e sostenibili.
Questa innovazione tecnologica a scala urbana implicherebbe un’inversione di tendenza rispetto all’attuale privatizzazione di aziende di servizi pubblici. Queste dovrebbero tornare ad essere pubbliche, perché è scontato che un’azienda privata non si impegnerà mai in simili interventi.

Herzog
Sono completamente d’accordo con Butera che il quartiere urbano è l’elemento chiave su cui lavorare. La dimensione del quartiere urbano va considerata come un organismo autonomo, con dimensioni pari ad una superficie massima di un chilometro quadrato, forse anche un po’ meno. All’interno di questo “oggetto” va controllato tutto: gli edifici, il traffico, la distribuzione delle merci e dell’energia. Dentro la città abbiamo allocazione e distribuzione: all’interno del distretto bisogna controllare e valutare la domanda di mobilità, di rifiuti e di energia. Questi sono i temi di questi decenni e sono sicuro che dovranno essere sviluppati con grande attenzione.
Ritengo che la maniera di trattare questo oggetto dovrà cambiare. Bisognerà lavorare come un medico: prognosi, diagnosi e terapia. Un approccio sistemico, non separato, con i metodi giusti basati sulle scienze e in combinazione con un’alta conoscenza delle cose e una grande sensibilità. La persona malata deve essere curata nella sua specificità. Quindi ogni sottosistema di un quartiere o della città è da analizzare a sé stante e in correlazione con le altre parti ad essi collegati, alla stessa maniera del corpo umano. Un medico non distrugge un organo per salvarne un altro. Si deve essere sempre alla ricerca dell’equilibrio. Questo è una chiave per il nostro futuro.

La redazione dell’incontro è stata curata da Leonardo Berlen

9 aprile 2008

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