Sfruttare l’energia delle maree

  • 27 Marzo 2008

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In Corea del Sud potrebbe essere realizzato uno dei più grandi impianti che entro il 2015 darà energia a 200 mila famiglie. A realizzarlo un'azienda britannica, e anche nel Regno Unito si discute di energia dal mare, ma alcuni progetti sono controversi.

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Potrebbe essere la Corea del Sud a realizzare uno dei più grandi impianti al mondo per ricavare energia dalle maree. Un investimento di 640 milioni di euro realizzato da una joint venture tra l’azienda britannica Lunar Energy e la Korean Midland Power Company che, se tutto va bene, si concretizzerà entro il 2015 in un parco capace di fornire energia a 200 mila famiglie. Saranno 300 turbine alte circa 20 metri, collocate sul fondo del mare lungo il canale sottomarino di Wando Hoenggan, tra le isole all’estremità meridionale del paese, per sfruttare al meglio i flussi delle maree, senza sbarramenti artificiali.

La prima turbina da 1 megawatt di potenza, verrà installata già l’anno prossimo per valutare l’impatto ambientale prima di dare il via libera definitivo a tutto il progetto. L’azienda britannica impegnata nel parco sottomarino in Corea sta lavorando anche su un progetto da otto turbine al largo della costa gallese. Secondo quanto dichiarato al Telegraph dall’amministratore delegato della compagnia, in Gran Bretagna ci sarebbe il potenziale per soddisfare con le maree fino al 20% del fabbisogno elettrico nazionale.

Intanto nel Regno Unito si discute di un altro progetto per sfruttare l’energia dalle maree, di realizzare all’estuario del fiume Severn, che arriverebbe a fornire il 5% dell’elettricità necessaria al paese ma comporterebbe la realizzazione di una gigantesca barriera per incanalare le maree. Un intervento che per i costi (almeno 15 miliardi di sterline) e le possibili conseguenze sull’ambiente è avversato da molti. Il Segretario di Stato per gli affari e le imprese inglese, John Hutton, ha commissionato all’inizio di quest’anno uno studio sull’ applicabilità e le ricadute ecologiche delle diverse tecnologie per sfruttare l’energia delle maree, con riferimento anche alla barriera sull’estuario del Severn.

La tecnologia con minore impatto ambientale (e che si sposa a una produzione energetica più diffusa contrapposta a quella delle grandi centrali), a giudicare dall’esperienza di altri paesi, pare sia quella che sfrutta con le turbine le correnti naturali delle maree anziché quella che incanala il flusso delle maree con sbarramenti artificiali. Tanto che dove in passato si sono usate le barriere, ci si sta ormai convertendo. Sbarramenti per incanalare le mare come quello della baia di Fundy in Canada si sono rivelati infatti responsabili di erosione costiera, allagamenti e intasamenti, oltre a sottrarre habitat a specie naturali (ad esempio le distese di fango per gli uccelli) e a ostacolare gli spostamenti della fauna marina, al punto che – come dichiara al Telegraph l’esperto canadese Simon Haslett, professore della Bath Spa University: “Per i canadesi l’idea di costruire barriere è ormai storia e la questione non si solleva nemmeno più. È un’idea così vecchia che ci si meraviglia che nel Regno Unito se ne discuta ancora”.

GM

27 marzo 2008

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