Carbone, quanto ancora?

  • 10 Marzo 2008

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Riserve sovrastimate e il picco più vicino, secondo diversi studi il carbone rimasto è meno di quello che si pensava. Un bene per la lotta al global warming, ma anche una questione energetica da affrontare. Ne parla David Strahan sul Guardian.

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Black out in Sud Africa per carenza di carbone, la Cina che presa nella morsa del gelo sospende le esportazioni per due mesi, al porto di Newcastle in Australia, principale terminal di uno dei maggiori esportatori una fila lunga 150 chilometri di navi che aspettano…cosa succede? Sta forse per finire anche il carbone? È la domanda che si fa l’esperto di energie David Strahan in un articolo uscito mercoledì scorso sul Guardian.

Il carbone – scrive Strahan – si trova al momento ad affrontare un incremento della domanda cui l’offerta ha delle difficoltà a far fronte. Basti pensare che il prezzo della materia nell’ultimo anno è raddoppiato, arrivando ai 140 dollari alla tonnellata. Le ragioni immediate sono da ricercarsi nell’impennata della domanda e nelle scarse infrastrutture per il trasporto, ma – spiega l’esperto del Guardian – c’è anche il timore che si stia diffondendo l’idea che la produzione di carbone debba confrontarsi nei prossimi decenni con la finitezza dei giacimenti: che si raggiunga cioè il picco anche per il carbone.

A guardare le statistiche officiali non ci sarebbe di che preoccuparsi: il World Energy Council stimava che alla fine del 2006 fossero rimasti ben 847 miliardi di tonnellate, al ritmo di produzione di allora, 6 miliardi di tonnellate all’anno, secondo i loro calcoli le riserve dovrebbero durare per più di un secolo. Ma diversi studi più recenti sono molto meno tranquillizzanti. Un rapporto dell’Istituto Europeo per l’Energia pubblicato lo scorso anno mostra come, con il lievitare della domanda (si pensi che in Cina viene aperta una centrale a carbone quasi ogni settimana), le riserve si riducano velocemente: se nel 2000 si calcolava che sarebbero bastate per 277 anni, già nel 2005 la stima era scesa a 155. E, cosa strana, il rapporto riserve / produzione annua (in base al quale si stima per quanti anni ci sarà disponibilità di una materia) non è migliorato neanche con l’aumento dei prezzi: i dati del 2006 stimano che ci sarà carbone per 144 anni, 21 in meno di quello che si era calcolato un anno prima.

Ancora più allarmante lo studio realizzato, sempre lo scorso anno, dall’Energy Watch Group (studio di cui Qualenergia.it aveva parlato al tempo nell’articolo “Carbone al picco“). Nel documento gli scienziati del EWG mettono in dubbio i dati sulle riserve forniti dai paesi produttori: a insospettirli il fatto che le cifre di certe nazioni non siano cambiate nell’arco di decenni (come i numeri relativi alle riserve cinesi, invariati dal 1992 nonostante il paese ne abbia estratto da allora almeno il 20%), mentre nei paesi in cui i dati sono stati aggiornati le riserve risultavano incredibilmente ridimensionate. Per esempio, per Gran Bretagna, Germania e Botswana gli ultimi dati comunicati parlano di riserve diminuite di oltre il 90%, un calo che non si può ascrivere solamente all’attività estrattiva ma che fa pensare che i dati forniti in precedenza fossero gonfiati: “Abbiamo scoperto che le cosiddette riserve provate sono tutt’altro che provate”, dice Werner Zittel, uno degli autori. Conclusione dello studio: il carbone raggiungerà il picco nel 2025 ed entrerà nella fase di esaurimento delle riserve (mentre il picco del carbone di alta qualità sarebbe già stato raggiunto circa 5 anni fa).

Ma meno carbone significa anche meno CO2. Per Dave Rutledge, direttore del dipartimento di ingegneria del California Institute of Technology, le nuove stime sulla quantità di carbone rimasto fanno pensare che le previsioni sulle emissioni di CO2 dovute alle attività umane siano troppo pessimistiche. Analizzando la produzione di carbone secondo un modello innovativo detto linearizzazione di Hubbert, Rutledge calcola che prima che termini l’attività estrattiva si caveranno circa 450 miliardi di tonnellate di carbone, cioè circa la metà rispetto alla stima delle riserve fatta dal World Energy Council. Di conseguenza, anche le emissioni di CO2 saranno ridotte e, secondo i suoi calcoli, raggiungeranno un picco di 460 parti per milione nel 2070: più basso del più ottimistico dei 40 scenari climatici ipotizzati dall’IPCC (l’organismo internazionale che studia i cambiamenti climatici).

Ma i risultati della ricerca di Rutledge preoccupano chi lotta contro il riscaldamento globale. Pushker Kharecha, del Nasa Goddard Institute for Space Studies di New York è d’accordo con il fatto che le riserve di carbone siano probabilmente sovrastimate, ma insiste sul fatto che il contenimento delle emissioni antropiche di anidride carbonica sia comunque fondamentale nella lotta al riscaldamento globale: “Quale sarebbe il rischio se le stime di chi ritiene che il carbone sia ancora poco fossero sbagliate?” chiede. “Riporre le speranze sulla scarsità di carbone è pericoloso”. Anche Rutledge stesso, che non è affatto un negazionista del global warming, è comunque d’accordo con Karecha, e ritiene che anche se le riserve di combustibili fossili considerate nei modelli del IPCC sono sovrastimate non significa che il problema del cambiamento climatico sia risolto.

Quello che invece le nuove stime riviste sulle riserve di carbone suggeriscono è che la crisi energetica che si profila sarà più severa di quello che si pensava. Secondo le previsioni dell’International Energy Agency il consumo di carbone dovrà crescere del 60% entro il 2030 per alimentare la crescita economica e la quantità di elettricità prodotta da carbone dovrà raddoppiare. Ma se l’Energy Watch Group e Rutledge non sbagliano, ci sono poche possibilità che queste previsioni si realizzino. Inoltre, con la produzione mondiale di petrolio che si avvicina alla sua fase di picco, difficilmente saranno i combustibili liquidi sintetizzati dal carbone a colmare il deficit di greggio.

La buona notizia è invece che gli imperativi dettati dalla lotta al cambiamento climatico e dalla crisi energetica sono gli stessi. “Nel lungo termine, le economie che si basano su fonti energetiche non rinnovabili sono destinate a fallire”, avverte Zittel del EWC. “Il picco del carbone rende ancora più urgente passare senza ulteriori ritardi all’energia rinnovabile”.

GM

10 marzo 2008

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