Il post-Kyoto dell’Australia

  • 21 Dicembre 2007

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Il nuovo governo australiano ha deciso di ratificare il Protocollo di Kyoto, ma molte sono le incertezze su come procedere verso gli obiettivi 2020. Un articolo, per il nostro portale, inviatoci dall'Australia da Michele Villa.

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Il successo (soprattutto personale) di Kevin Rudd nell’annunciare davanti ad una platea deliziata a Bali e all’indomani dell’elezione a Primo Ministro dell’Australia, la decisione di ratificare il Protocollo di Kyoto, nasconde in realtà una serie di questioni ancora aperte che generano ancora incertezza sul futuro del contributo australiano alla riduzione dei gas serra.
Se la buona notizia è il fatto che ora gli Stati Uniti sono ancora più isolati nella loro perseveranza a non riconoscere gli impegni di Kyoto, il rovescio della medaglia è il fatto che l’Australia, pur puntando al rispetto dei suoi obiettivi al 2012 (+8% rispetto al 1990), non si è ancora espressa con chiarezza e decisione sugli obiettivi di riduzione al 2020.

Il riferimento ad un possibile obiettivo compreso tra il 25 ed il 40% è ancora troppo vago per costituire un chiaro segnale per il sistema industriale sulle scelte da fare per non subire passivamente un futuro che appare sempre più carbon constraint.
L’impressione diffusa è che Rudd, al quale va riconosciuto il coraggio di aver confermato da subito l’impegno preso in campagna elettorale di ratificare Kyoto, stia prendendo tempo in attesa di capire come si comporteranno in futuro Cina e India sulla questione della lotta ai cambiamenti climatici. Da questa parte del mondo l’influenza dei colossi asiatici, che divorano risorse e restituiscono problemi ambientali, è ancora più pesante che nel resto del mondo per via dei rapporti commerciali che stanno guidando il formidabile sviluppo del settore minerario e petrolifero dell’Australia.

Un ulteriore elemento da considerare per capire il quadro delle future politiche australiane sui cambiamenti climatici è dato dal mix delle risorse energetiche consumate in Australia. Il carbone conta ancora per il 41% sul totale dei consumi, seguito dal petrolio (35%), dal gas naturale (19% in crescita grazie ai giacimenti nel nord ovest), mentre le rinnovabili valgono un residuale 5%.
La dipendenza dal carbone è molto forte soprattutto nella costa est, dove vive la maggior parte della popolazione e dove l’impatto economico del prezzo della CO2 può essere molto forte.
La scusa officiale del ritardo nella dichiarazione da parte del governo federale di un impegno quantificabile e misurabile, è il cosiddetto rapporto Garnaut, dal nome dell’economista cui è stato commissionato dal partito Labor uno studio per capire l’impatto dei cambiamenti climatici in Australia e l’efficacia dei possibili strumenti di mitigazione. Lo studio è partito nell’aprile 2007 e la sua conslusione è prevista per la metà del prossimo anno; un tempo francamente lungo, pur nel rispetto dell’importanza degli argomenti trattati.

Un primo importante verdetto atteso dal rapporto Garnaut riguarderà le caratteristiche dello schema di Emissions Trading che sarà avviato presumibilmente nel 2010. Per quanto si sa finora, il sistema coprirà buona parte dei settori industriali e della produzione energetica da fonti stazionarie, considererà tutti i gas ad effetto serra, sarà un sistema cap and trade e l’assegnazione iniziale delle quote avverrà prevalentemente tramite asta, con l’eccezione dei settori esposti al commercio internazionale, che potrebbero perdere competitività rispetto a paesi non soggetti a restrizioni nelle emissioni di gas serra, e di aziende ad alta intensità energetica. Le regole del sistema sono ancora tutte da stabilire.

In preparazione allo schema, tuttavia, sono in corso alcune iniziative che dovrebbero facilitare l’avvio ed evitare errori già commessi in passato nella definizione del sistema di scambio europeo. Un documento sui meccanismi di riconoscimento delle early actions al fine di non disincentivare investimenti in tecnologia per la riduzione delle emissioni è stato recentemente sottoposto a pubblica consultazione in attesa di definire ufficialmente le regole per l’assegnazione di possibili early credits.
Dal punto di vista del calcolo delle emisisoni e del relativo monitoraggio, è stata approvata recentemente una legge sul reporting delle emissioni che dovrebbe fare chiarezza sui meccanismi di assegnazione.

Non va dimenticato poi che il sistema di emissions trading del NSW è uno dei più importanti del mondo per età e dimensioni e che il passato governo aveva comunque avviato alcuni interessanti programmi per la dichiarazione volontaria delle emissioni e per il riconoscimento di crediti (Greenhouse Friendly), derivanti da abbattimenti o offset come la riforestazione.
Per il resto, sembra di rivedere un film già visto ai tempi dell’avvio dell’Emissions Trading System europeo. I modelli previsivi sul futuro costo dei permessi si sprecano e sono in fase di avvio i mercati dei forward dove gli operatori possono approvviggionarsi di permessi ad un prezzo ritenuto più vantaggioso di quello previsto nel medio-lungo termine.
In attesa di conoscere meglio il futuro del sistema di scambio dei permessi di emissione le imprese australiane si interrogano sulla possibilità di collegare il futuro schema a quelli già esistenti, in primis quello europeo, e valutano la possibilità di acquistare quote fin da ora.

Un’altra frontiera di assoluto interesse è costituita dal mercato dei meccanismi flessibili del Protocollo di Kyoto (CDM/JI) che, in cosniderazione dei legami commerciali tra l’Australia e l’Asia, potrebbe essere assai promettente nella generazione di crediti da progetto.
Anche i mercati volontari di scambio, che vendono prevalentemente offset credit, ma che spesso non garantiscono la serietà necessaria per essere credibili e definire un segnale di prezzo da considerare nelle scelte di investimento, sono in fase di crescita.
Woodside, il maggior produttore di petrolio e gas naturale australiano, ha recentemente dichiarato che investirà decine di milioni di dollari per piantare 20 milioni di alberi in Western Australia e nel New South Wales per compensare le emissioni di uno dei suoi più importanti giacimenti di gas naturale. Una prima importante iniziativa, in attesa dell’illuminante responso di Garnaut.

Michele Villa (ERM Perth, Western Australia)

21 dicembre 2007

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