Da Vienna proposte sul clima

  • 30 Agosto 2007

CATEGORIE:

Dal meeting UNFCCC alcune proposte. L'alleanza degli Stati delle piccole isole chiede che i Pvs sia distinti in base alle emissioni e alla capacità di adattarsi ai cambiamenti climatici. Le possibili proposte USA.

ADV
image_pdfimage_print
Che cosa sta succedendo a Vienna per il meeting UNFCCC sugli impegni per il post-Kyoto (tra i paesi che hanno ratificato Kyoto) e sul dialogo per il lungo termine (tra i paesi che NON hanno ratificato Kyoto e quelli che lo hanno ratificato). Qui un breve resoconto dei primi due giorni dei lavori.

Lunedì 27 Agosto

Dopo la cerimonia di apertura ci sono state dichiarazioni e gli “statements” dei vari Paesi. Niente di nuovo rispetto alle solite posizioni di principio, ormai note e ripetitive. Le uniche due novità sono state le seguenti:

1) Proposta AOSIS
I paesi AOSIS (l’Alleanza degli Stati delle piccole isole, che comprende 43 paesi, di cui 22 in via di sviluppo), hanno chiesto che nella fase post 2012, i Pvs siano suddivisi in due categorie:

  • paesi poveri: quelli che non emettono gas serra, o ne emettono in quantità insignificanti a livello globale, ma che subiranno i maggiori danni dei cambiamenti del clima e non sono in grado di “adattarsi”
  • paesi emergenti: quelli che emettono gas serra in modo significativo, o sempre più significativo, a livello globale, e che saranno in grado di far fronte ai danni dei cambiamenti climatici, ma anche di adattarsi.

Di conseguenza impegni e obblighi dovranno essere commisurati su 3 categorie di paesi:

  • quelli industrializzati, che dovranno procedere alla riduzione delle proprie emissioni e finanziare il processo di adattamento ai paesi poveri,
  • quelli emergenti, che dovranno procedere a ridurre le proprie emissioni e, ove possibile, aiutare i paesi più poveri;
  • quelli poveri, che non avranno obblighi o impegni di riduzione delle emissioni, ma diritti ad essere risarciti per i danni provocati dai paesi precedenti.

2) Indizi sulla proposta USA
In base agli interventi dei delegati USA, si è capito (o almeno si è lasciato capire) che:

  • gli Stati Uniti intendono coinvolgere in un accordo “ad hoc” i paesi (sviluppati e in via di sviluppo) che sono i maggiori emettitori globali di gas serra, in pratica oltre ai paesi industrializzati anche Cina, India, Brasile, Messico, Corea, Sud Africa, salvo altri;
  • l’accordo “ad hoc” dovrebbe mettere in moto un mercato internazionale sul commercio delle quote (o dei permessi) di emissione in cui entrano a far parte anche i crediti di emissione (convertiti in permessi di emissione) acquisiti attraverso il “clean development mechanism” con i paesi in via di sviluppo che non fanno parte dell’accordo “ad hoc”;
  • gli obiettivi dell’accordo (riduzione delle emissione e tempi di riduzione) non sono obblighi vincolanti, ma sono impegni volontari “a tempo limitato” che periodicamente verranno rivisti attraverso un meccanismo di “pledge and review”;
  • l’accordo deve mettere in moto una crescita socio economica, in cui la lotta ai cambiamenti climatici e la protezione dell’ambiente sono parti integranti della libera economia di mercato e devono, pertanto, rappresentare un investimento economicamente produttivo.

Martedì 28 Agosto

Yvo De Boer, ha illustrato il rapporto UNFCCC sulle questioni finanziarie, le cui conclusioni dicono che per arrestare la crescita delle emissioni di gas serra entro il 2030, occorrono investimenti annui mondiali pari a 200-220 miliardi di dollari (come da notizie di stampa già apparse in questi giorni – vedi articolo Qualenergia.it). In relazione a quanto sarà efficace questo processo di riduzione o contenimento delle emissioni, potrebbero servire, in aggiunta, da un minimo di 50 ad un massimo di 170 miliardi di dollari l’anno, per finanziare adeguati piani di adattamento nazionali, soprattutto nei paesi in via di sviluppo.

Data l’enormità delle cifre in gioco, la maggior parte dei delegati presenti ha reagito proponendo di studiare meccanismi e modalità di riduzione delle emissioni che non penalizzino le risorse nazionali e non distorcano i mercati internazionali, cioè meccanismi che siano economicamente convenienti, come, per esempio, quello del mercato delle quote di emissione, quello degli investimenti in tecnologie pulite nei paesi in via di sviluppo (in cambio di crediti alle emissioni) o altri meccanismi che dovranno essere ricercati.
Quindi, pur con varie sottolineature o diversi punti di vista, sembra esistere un consenso generale dei delegati all’ipotesi di mettere a punto meccanismi economico-finanziari e di mercato al fine di rendere conveniente e competitiva la riduzione delle emissioni, salvo l’opposizione dell’AOSIS.

L’AOSIS ha, infatti, proposto un meccanismo diverso: le emissioni devono rappresentare un costo per gli emettitori. In altre parole, l’AOSIS punta sull’ipotesi di far pagare le emissioni con una qualche tassa idonea allo scopo, cioè rapportata sia alle quantità di emissioni sia alla tipologia delle emissioni. I proventi derivanti da questa tassa dovranno essere accantonati in un fondo finanziario che servirà per finanziare la realizzazione di progetti, azioni e misure di adattamento ai cambiamenti climatici nei paesi più poveri. L’AOSIS sottolinea che questioni di equità e di giustizia internazionale impongono che chi si rende responsabile dei danni altrui, provveda a prevenirli e a pagarli.

Resoconto ricevuto da Vincenzo Ferrara

30 agosto 2007

Potrebbero interessarti
ADV
×