L’Italia verso la sfida del 2020

  • 14 Giugno 2007

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Gli obiettivi europei al 2020 per le rinnovabili rappresentano una sfida enorme per il nostro paese e una grande opportunità che richiede scelte oculate e un ripensamento del modello energetico. Un articolo di Gianni Silvestrini.

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Tra mille peripezie, il futuro delle trattative sul post Kyoto rimane ancora aperto a soluzioni positive. La proposta di Bush prima del G8 di Heiligendamm, per un tavolo negoziale separato dal contesto delle Nazioni Unite che avrebbe messo in grave difficoltà le prospettive di un accordo mondiale, è stata accantonata.
La conclusione del G8 con il riconoscimento da parte di Russia e Stati Uniti di voler “considerare seriamente” un accordo per tagliare le emissioni climalteranti del 50% entro il 2050, rappresenta dunque il massimo risultato possibile alle condizioni date.
Certo non era quello che chiedeva Merkel e che esigeva la gravità della situazione (obbiettivi di riduzione certi), ma questo esito mantiene integre le condizioni per giungere a un accordo globale, all’interno delle Nazioni Unite, entro un paio di anni.
Nel frattempo anche Cina e India stanno aprendosi alla prospettiva di un impegno sul clima. Secondo un recente sondaggio (Global Market Insite) poco meno di due terzi delle popolazioni dei due giganti asiatici condividono la necessità di fissare dei limiti alle emissioni anche nei propri Paesi. E la Cina ha nei giorni scorsi reso pubblico un piano di intervento sul clima.
La strada, pur se accidentata e con molti nemici, rimane aperta.
La tredicesima Conferenza delle Parti che si terrà a dicembre a Bali avrà con ogni probabilità un carattere interlocutorio, ma servirà a preparare la strada per un accordo definitivo. E nel prossimo G8 che si svolgerà l’anno prossimo in Giappone il tema del clima sarà ancora una volta una delle priorità.

Ma il segnale più chiaro dell’accelerazione politica in campo energetico è dato dall’obbiettivo vincolante del 20% da fonti rinnovabili entro il 2020 adottato dalla UE.
Per rendersi conto della portata di questa decisione si consideri che per il raggiungimento del target occorrerà nei prossimi 13 anni triplicare l’attuale quota di energia verde, che include tutto l’idroelettrico costruito nel secolo scorso, i 48 GW di eolico, i quasi 20 milioni di m2 di solare termico, gli oltre 60 Mtep da biomassa…
Gli investimenti necessari alla sola produzione di elettricità verde saranno superiori alle risorse che verranno destinate alla costruzione di nuove centrali termoelettriche e già questo indica il ribaltamento delle scelte in atto.
Questi ambiziosi obiettivi sono del resto allineati con l’accelerazione mondiale degli investimenti. Nel 2006 il fatturato delle industrie di solare, eolico, biocombustibili e idrogeno ha raggiunto i 55 miliardi $, il 39% in più rispetto all’anno precedente e dovrebbe quadruplicarsi nei prossimi 10 anni (figure 1 e 2).

A che punto siamo con Kyoto?
Anche se con una certa difficoltà e con posizioni molto differenziate al suo interno, l’Europa presenta un trend di riduzione delle emissioni di gas serra. Considerando solo i Paesi dell’Europa a 15 nel 2005 si è riscontrata una riduzione dello 0,8% rispetto al 2004 e dell’1,5% rispetto al 1990. Se l’analisi si estende a tutti i 27 Paesi dell’Unione la riduzione rispetto al 1990 risulta dell’8% (figura 3).
I dati per l’Italia indicano invece un livello di emissioni climalteranti del 13% più elevato rispetto al 1990 e ci pongono quindi nella lista dei ritardatari (figura 4). C’è ancora tempo per invertire la rotta? Certo, anche se il ritardo accumulato è tale che una quota importante dei crediti di carbonio andrà comunque acquisita all’estero.
Vediamo dunque dove ci si può spingere per ridurre le emissioni, quali sono le aree nelle quali già si evidenza un deciso cambio di marcia rispetto al passato e i settori nei quali la risposta è inadeguata.

Emissions trading e settori energivori
I comparti energivori coperti dalla Direttiva sull’Emissions trading (termoelettrico, cementifici, acciaierie, carta, ceramiche, vetro) hanno avuto assegnate nella proposta finale del Piano nazionale di allocazione 2008-12 (PNA 2) emissioni del 6% inferiori rispetto ai livelli stabiliti dal precedente Governo per il periodo 2005-7 (-10% considerando le emissioni reali registrate nel 2005 pari a 232 Mt CO2).
La Commissione Europea ha chiesto all’Italia, come alla maggior parte dei Paesi europei, un ulteriore taglio delle emissioni. Questa riduzione è stata imposta perché, malgrado le politiche virtuose nel settore civile, le azioni negli altri settori (efficienza, rinnovabili, trasporti) non sono sembrate completamente convincenti. Paghiamo l’inerzia degli ultimi anni, quando il leit motiv era che Kyoto non sarebbe decollato per la mancata ratifica della Russia. Ciò ha portato a un rallentamento complessivo delle politiche di intervento, inducendo per di più false illusioni nelle imprese italiane. Questa posizione difensiva, tra l’altro, ha comportato l’incapacità di cogliere le opportunità della rivoluzione energetica che era già iniziata.
Va comunque considerato che un’accelerazione delle politiche di innalzamento della quota di elettricità verde e dell’efficienza, faciliterà il raggiungimento dei nuovi tetti della Direttiva. Almeno la metà dei 13 Mt CO2 che si devono tagliare secondo la UE possono infatti derivare da obbiettivi più ambiziosi in queste due direzioni.
Nell’allocazione definitiva delle quote andranno preferiti i criteri che favoriscono le tecnologie più efficienti e a minor produzione di anidride carbonica.
Più in generale, in campo elettrico va completata la rottamazione delle vecchie centrali puntando sui cicli combinati e pensando sul medio-lungo periodo a una diffusione della mini-cogenerazione.
La realizzazione di rigassificatori è infine urgente e indispensabile per la sicurezza degli approvvigionamenti e per aumentare la concorrenza tra i vari attori.

Primi risultati sul fronte dell’efficienza energetica
Il settore in cui è più visibile l’inversione di tendenza rispetto a Kyoto è il comparto civile individuato dall’attuale Governo come un’area prioritaria di intervento per ottenere risultati significativi di riduzione dei consumi energetici e delle emissioni di anidride carbonica.
Da qui la detrazione fiscale del 55% per la riqualificazione energetica delle costruzioni esistenti e l’imposizione di consumi sempre più bassi (circa il 50% in meno tra il 2005 e il 2010) accompagnata dall’obbligo di impianti solari termici e fotovoltaici per i nuovi edifici.
Aggiungiamo infine il fatto che gli obbiettivi di risparmio 2005 e 2006 per i distributori di energia elettrica e gas sono stati largamente oltrepassati (+80%). L’Autorità per l’energia ha certificato riduzioni dei consumi per 0,8 Milioni di tonnellate equivalenti di petrolio e il Ministero dello Sviluppo Economico ha annunciato un innalzamento degli obiettivi (2,9 Mtep al 2009) e un loro prolungamento al 2012 (almeno 5 Mtep).
Crediamo che l’edilizia dovrà confrontarsi con limiti prestazionali sempre più rigorosi nell’arco del prossimo decennio fino ad arrivare a costruzioni “carbon neutral”, cioè a emissioni zero di CO2. Ricordiamo che il Governo inglese ha diffuso un documento lo scorso dicembre che individua un target di azzeramento delle emissioni a partire dal 2017 per tutte le nuove costruzioni del settore residenziale.
Il Piano d’azione sull’efficienza energetica, in via di definizione ai sensi della Direttiva sugli usi finali, potrà consentire di dare un’ulteriore spinta alla riduzione dell’intensità energetica anche nei comparti industriali.

Finalmente partono anche le rinnovabili
La potenza eolica installata in Italia ha raggiunto 2.123 MW nel 2006 e quest’anno si dovrebbero superare i 2.800 MW.
Le installazioni di collettori solari termici sono raddoppiate nel 2006 (140.000 m2) e cresceranno ulteriormente grazie alle detrazioni fiscali previste in finanziaria.
Ancora più netto è il boom del solare fotovoltaico. Secondo il Gse, nel 2007 sono stati completati o sono in via di installazione 145 MW (tre volte quanto era stato installato in Italia negli ultimi 20 anni).
Qualcosa dunque si sta muovendo, anche se restano da risolvere le barriere autorizzative e le posizioni di alcune Regioni francamente incomprensibili.
Nella revisione in atto del sistema di incentivazione occorrerà definire un sostegno che garantisca la remunerazione degli investimenti ma che non pesi troppo sulle bollette, elemento che impedirebbe la produzione delle grandi quantità di energia verde che sarà necessario immettere in rete nei prossimi anni (attualmente gli incentivi sono decisamente sopra la media europea). Consideriamo che mediamente in Europa nel 2020 un terzo dell’elettricità dovrà derivare da fonti rinnovabili, cioè il doppio della quota attuale dell’Italia, (15-16%) percentuale peraltro immutata dal 1997.
Viceversa occorrerà accelerare al massimo le procedure autorizzative e responsabilizzare le Regioni: sono questi i due elementi in questo momento decisivi per lo sviluppo delle rinnovabili.
Di fronte a una crescita delle installazioni verdi, è significativo il risveglio di interesse del mondo delle imprese verso la produzione di queste tecnologie con progetti che dovrebbero, nell’arco di 2-4 anni, riportare l’Italia tra i Paesi di punta anche sul versante della ricerca e dell’immissione sul mercato di impianti a energia pulita.
Per esempio, la Merloni (MTS) ha deciso di realizzare nelle Marche uno stabilimento con una capacità produttiva di 300.000 mq/a di collettori solari, cioè 10 volte più della intera produzione nazionale degli ultimi anni.
Ma è nel fotovoltaico che si stanno indirizzando i finanziamenti più significativi (centinaia di milioni €) da parte di una molteplicità di progetti che investono sia l’intera filiera del silicio che soluzioni più avanzate come quella dei film sottili.
Il programma Industria 2015 del MSE, che prevede 350 milioni € proprio per l’incentivazione della filiera dell’efficienza energetica e delle rinnovabili, rappresenterà uno stimolo importante in questa direzione.

Trasporti: da buco nero a priorità di intervento
E’ noto che il settore della mobilità rappresenta il comparto in maggiore controtendenza rispetto a Kyoto, con emissioni climalteranti aumentate di oltre un quarto dal 1990.
Proprio per questo bisognerà prestare una particolare attenzione a questo comparto con una strategia integrata di interventi.
A fronte del fallimento dell’accordo volontario del 1998 che prevedeva per le vendite delle auto un livello di 140 gCO2/km entro il 2008, la Commissione ha proposto l’introduzione di limiti obbligatori pari a 130 gCO2/km. Malgrado la resistenza delle case automobilistiche è altamente probabile che si arrivi a fissare limiti decisamente inferiori agli attuali.
Un’altra risposta può venire dai biocombustibili, dal metano e gpl e, più sul lungo periodo, dall’idrogeno. L’Europa si è data obbiettivi ambiziosi al 2010 e 2020 (5,75% e 10% dei consumi da trasporti coperti da etanolo e biodiesel) che pongono il problema di un utilizzo corretto delle aree agricole, anche alla luce dell’attuale sovrapproduzione di alcuni prodotti.
Nel 2005 la superficie destinata alle produzioni di biocombustibili era del 2%, ma per raggiungere all’interno della UE gli obbiettivi del 2010 e del 2020 occorrerebbe una superficie pari al 15 e al 30% del totale coltivabile.
Questa opzione è chiaramente impraticabile e si sta puntando in parte sui biocombustibili di seconda generazione (da lignocellulosa) con una resa decisamente superiore e sulle importazioni ambientalmente qualificate. La sostenibilità ambientale e sociale della produzione di biocombustibili nei Paesi in via di sviluppo rappresenta infatti un elemento decisivo per garantire una crescita del mercato internazionale.
Una priorità nella priorità è rappresentata dalla mobilità urbana. Si tratta infatti dell’area con maggiori sprechi (quindi con più alte opportunità di intervento) e con un micidiale impatto sulla salute.
Negli ultimi anni si è purtroppo affievolita sia l’attenzione centrale (focalizzata solo sulle infrastrutture extraurbane) che quella locale, come dimostrato dalla mancata applicazione del “road pricing” e dalla risibilità della rete di piste ciclabili o di aree pedonali.
Il nostro trasporto locale è in larga parte degradato e assolutamente inadeguato rispetto alle necessità di una mobilità moderna e ambientalmente sostenibile. Va compiuto quindi un grande sforzo di potenziamento e di progressiva eliminazione dell’accesso delle auto nelle aree centrali, per portarci al livello delle città europee.
Uno sforzo andrà infine rivolto al trasporto delle merci che implica una riconsiderazione dell’organizzazione della produzione, della quota di trasporto trasferibile dalla gomma, dell’ottimizzazione della logistica.

Conclusioni
Gli impegni della battaglia climatica obbligano a un ripensamento profondo del nostro modello energetico. L’Italia finora, nel suo insieme, non sembra avere afferrato la radicalità della sfida, e solo negli ultimi mesi alcune scelte indicano finalmente l’inizio di una presa di coscienza.
La sfida è appena iniziata e durerà decenni. Occorre sapere dare risposte efficaci nel breve termine e contemporaneamente predisporre una strategia di riduzione di lungo respiro. Soprattutto si deve passare dalla posizione difensiva (quando non ostile) assunta negli ultimi anni a una linea propositiva.
La conversione in atto può infatti rappresentare una straordinaria occasione per riqualificare il nostro sistema produttivo, rivedere la struttura dei trasporti, garantire bassi consumi nelle abitazioni. Le risposte dovranno quindi riguardare trasversalmente le politiche del Paese e coinvolgere tutti i livelli istituzionali (responsabilizzazione delle Regioni).
Andrà rilanciata la ricerca a livello italiano ed europeo, perché traguardi così ambiziosi non si possono raggiungere senza salti tecnologici. D’altra parte non ci si deve illudere che la tecnologia risolverà tutti i problemi. Si dovranno ripensare le modalità produttive (e gli oggetti delle produzioni), e organizzare in modo più efficace la mobilità. E probabilmente anche rivedere gli stili di vita.

Gianni Silvestrini
Direttore scientifico Kyoto Club e di QualEnergia

Nota: il contenuto di questo articolo è parte della relazione di Silvestrini al Forum “QualEnergia?” (Roma, 14 giugno 2007)

14 giugno 2007

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