L’Italia emetterà meno

  • 15 Maggio 2007

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In un'intervista esclusiva Fabrizio Fabbri, capo segreteria tecnica del Ministro dell'Ambiente, fa il punto sulla richiesta della Commissione europea di ridurre le emissioni dell'ultimo Piano Nazionale di Assegnazione

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La Commissione Europea ha accolto il Piano Nazionale di Assegnazione (PNA) delle quote di emissione dell’Italia, nell’ambito dell’Emission Trading Scheme (ETS) europeo, ma solo “a condizione che vi siano apportati cambiamenti, tra i quali la riduzione del quantitativo totale di quote di emissione proposto”.
L’assegnazione annua autorizzata è pari a 195,8 milioni di tonnellate di CO2, il 6,3% in meno di quanto proposto dall’Italia. Per il periodo 2008-2012 la riduzione, rispetto al limite di 209 milioni di tonnellate di CO2 dell’ultimo piano nazionale, sarà quindi di 13,2 milioni di tonnellate di CO2. L’approvazione del piano da parte della Commissione avverrà automaticamente una volta che l’Italia avrà apportato le modifiche indicate. Una mezza bocciatura per il nostro paese, ma che dovrebbe ormai mettere definitivamente alcuni paletti soprattutto per quanto concerne la nostra politica energetica. Ne parliamo con Fabrizio Fabbri, capo segreteria tecnica del Ministro dell’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio.

Quale passaggio è avvenuto tra questa richiesta di un ulteriore taglio delle emissioni nel Piano Nazionale di assegnazione delle Emissioni e il precedente piano, oggi ridimensionato da Bruxelles?
Rispetto al precedente piano, con questo taglio ci portiamo ad una riduzione complessiva di circa 28 milioni di tonnellate di CO2 rispetto al PNA1. Tuttavia rispetto alla prima proposta messa in consultazione a luglio 2006 il dato che ci fornisce l’Unione Europea è sostanzialmente di poco superiore ai 194 Mt che, in prima battuta, il Ministero dell’Ambiente aveva considerato come tetto massimo da raggiungere.
Dovremo però leggere le motivazioni circa il taglio richiesto al nostro paese e, soprattutto, se ci sono indicazioni specifiche in merito ai comparti del PNA considerati più critici.

Come potremmo assolvere questi più stringenti impegni?
In base a questi numeri ci dovremo sicuramente avvicinare a quanto previsto nel piano proposto a luglio, quindi, assegnando quote molto inferiori soprattutto al comparto del carbone.
Sono convinto che con questo rientro del PNA indicato da Bruxelles, non avendo grandissimi margini di manovra su molte attività come, ad esempio, acciaierie o cementifici, con quote di emissioni già compresse, nell’ambito del settore termoelettrico l’unico comparto che può permettersi di comperare le quote di cui ha bisogno sul mercato è quello della produzione di elettricità da carbone. A mio avviso dovremmo prevedere una situazione di questo tipo e non è esclusa l’ipotesi di prevedere un benchmark unico nell’assegnazione complessiva delle quote al settore termoelettrico.

La Commissione ha stabilito che il quantitativo massimo totale dei crediti di emissione concessi a titolo di progetti eseguiti in paesi terzi (CDM e JI) e che gli operatori possono utilizzare per rispettare i propri impegni in materia di emissioni, non dovrà superare più del 15% circa del totale annuo. Come si spiega questa nuova decisione?
E’ una richiesta nuova, ma che la Commissione declina in maniera diversa a seconda dei paesi. La richiesta di contenere la quota del 15% dei meccanismi flessibili è dovuta probabilmente al fatto che in Italia non abbiamo potuto portare i contratti firmati per l’acquisto dei crediti. Al contrario questo è stato fatto dalla Spagna che ha un impianto di tagli delle emissioni molto incentrato sui CDM. Pertanto, direi che le valutazione a livello europeo sul peso dei meccanismi flessibili tengono conto principalmente della credibilità o meno dei diversi paesi e sul loro reale impegno su questo aspetto, stimando che essi siano in grado realmente di raggiungere i propri obiettivi anche attraverso questo strumento.

Poco tempo fa Maurizio Beretta, direttore generale di Confindustria, aveva lamentato che trovava ingiusto che il peso della riduzione delle emissioni di gas serra venisse esclusivamente addossato al sistema industriale, responsabile di “solo” il 40% delle emissioni. Cosa risponde a riguardo?
Non sono affatto d’accordo. Confindustria dovrebbe capire che quando abbiamo fatto il taglio previsto nel primo piano con un limite simile a quello che ci ha riconsegnato oggi l’Unione Europea, lo abbiamo calcolato complessivamente per il settore ETS per quello che pesa, cioè il 38%. In realtà è nell’ultima versione di piano che il settore industriale era stato tagliato per meno di quanto pesi in maniera ponderale.
Dire che non ci sono provvedimenti sugli altri settori è sciocco perché quando dobbiamo fare un piano per soddisfare Kyoto siamo obbligati anche ad indicare le altre misure che il nostro paese mette in cantiere per il settore trasporti, il settore edile civile e terziario. Misure che ci sono e di un certo peso, presenti soprattutto nell’ultima finanziaria. Ma poiché il settore industriale è quello che pesa maggiormente in termini percentuali viene preso più in considerazione. Va anche considerato il fatto che esiste un notevole sostegno finanziario dietro a tutto il comparto che non è presente, invece, nel settore abitativo o nei trasporti.

Alcuni piani energetici regionali sono in contraddizione con questo scenario. Faccio l’esempio della Sardegna, che intende puntare sul carbone locale per la produzione di elettricità.
L’ipotesi di assegnare una ripartizione di quote e di tagli a livello regionale, con una divisione delle responsabilità sarà fondamentale. Atteggiamenti come quello della Regione Sardegna dimostrano che almeno nella valutazione della politica di governo regionale prevalgano alcune considerazioni generali rispetto ai cambiamenti climatici.
Se si vuole dare una risposta a problemi sociali molto localizzati, ammesso che utilizzare il carbone del Sulcis lo sia, non si può però ignorare il quadro nazionale e internazionale. Se viene penalizzato l’eolico per fare energia elettrica con il carbone, dal punto di vista politico strettamente casalingo può avere un senso, ma complessivamente ciò incide negativamente sulla politica nazionale.
E’ mia opinione che andrebbe addirittura cambiato il Titolo V° della Costituzione perché è necessario riportare ad una guida nazionale le politiche energetiche. Lasciarle in mano alle Regioni è un problema, tanto più se queste non hanno degli obblighi da rispettare all’interno del protocollo di Kyoto.

LB

15 maggio 2007

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