Italia e Francia: balletto di scorie

  • 10 Maggio 2007

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Greenpeace contesta l'accordo siglato tra l'italiana Sogin e la francese Areva per il "ritrattamento" del combustibile irraggiato in Francia, che tornerà  in Italia sotto forma di scorie vetrificate

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Greenpeace contesta il contratto siglato tra l’italiana Sogin e la francese Areva per il ritrattamento del combustibile irraggiato in Francia, che, a partire dal 2015, prevederà l’invio oltralpe di 235 tonnellate di combustibile irraggiato (gran parte ancora a Caorso) e il suo ritorno in Italia sotto forma di scorie vetrificate.
Il ritrattamento di combustibile irraggiato (o “riprocessamento”) era stato abbandonato dal primo governo Prodi nel 1999 a favore dello stoccaggio a secco, prassi prevalente nel mondo, meno rischiosa e meno costosa. Il motivo storico per cui si è sviluppata la tecnica del ritrattamento è legato all’estrazione del plutonio dalle barre irraggiate, elemento il cui scopo fondamentale è di tipo militare.
In assoluto, il riprocessamento è la fase più inquinante del ciclo dell’uranio. In passato, l’Italia aveva inviato barre di combustibile irraggiato a Sellafield, impianto inglese chiuso dopo l’ennesimo incidente nel 2005. Nel febbraio 2005, proprio per protestare contro questa scelta, Greenpeace aveva cercato di bloccare un carico di scorie. Recentemente i 12 attivisti di Greenpeace sono stati tutti assolti al processo di primo grado.

Si è ingenerata nelle popolazioni l’attesa di essere “liberati” dalle scorie. Si tratta però un’attesa ingiustificata: le scorie torneranno e, in assenza di un deposito dove ospitarle, torneranno molto probabilmente agli impianti che le hanno generate. La legge francese, infatti, vieta di importare scorie e l’accordo intergovernativo ha fissato le date dei rientri in Italia. In tutti i casi la gran parte del volume delle scorie è costituito proprio dalle parti contaminate degli impianti stessi, che dovranno essere “custodite” per almeno tre secoli.

Altre frazioni di rifiuti nucleari di terza categoria di cui oggi non è chiaro il destino sono:
– il combustibile proveniente dal reattore statunitense Elk River (ossidi misti
uranio-torio) che rimane in Trisaia (Basilicata) e che non si sa che destinazione possa mai avere. Già di proprietà statunitense, la responsabilità della sua gestione per la sistemazione è stata rifiutata dagli Usa;
– i rifiuti liquidi di Saluggia (240 metri cubi di materiale altamente radioattivo sciolto in acido nitrico) che devono essere condizionati (solidificati) in sito e comunque messi in un deposito italiano;
– i 3000 metri cubi di grafite contaminata da carbonio 14 nell’impianto di Latina di cui non sono note modalità di smantellamento e condizionamento e che comunque dovranno andare in un deposito italiano.

In sostanza, i contribuenti italiani spenderanno oltre 250 milioni di euro per un viaggio di andata e ritorno che non risolve nessun problema: un’operazione costosa, rischiosa e inquinante fatta solo per perdere tempo e illudere le popolazioni locali che verranno “liberate”.
Greenpeace chiede dunque al governo di:
– Informare la popolazione italiana sulla effettivo stato di sicurezza radiologica dei siti dove sono stoccate le scorie nucleari e sulle operazioni necessarie a mettere in sicurezza queste scorie;
– Rivedere l’opzione del “riprocessamento” per il combustibile nucleare irraggiato e riprendere in considerazione l’opzione “stoccaggio a secco”, già a suo tempo scelta durante il primo governo Prodi.

Giuseppe Onufrio
Direttore Campagne Greenpeace Italia

10 maggio 2007

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