Bioenergie in campo

  • 30 Gennaio 2007

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Le bioenergie possono offrire un contributo importante allo sviluppo delle fonti rinnovabili. di Fabrizio Rossi

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Le opportunità offerte dalle filiere bioenergetiche sono state evidenziate in diversi documenti di programmazione comunitaria e nazionale e lo stesso Parlamento Europeo ha recentemente rilevato che il ricorso alla bioenergia offre molti vantaggi non solo rispetto alle fonti energetiche convenzionali ma anche nei confronti delle altre energie rinnovabili: costi relativamente contenuti, minore dipendenza alle variabili atmosferiche ed ambientali e conseguente maggiore programmabilità, sviluppo di strutture economiche locali e possibilità di fonti alternative di reddito per il settore agricolo.

Il potenziale di biomassa nell’Unione Europea è stato evidenziato nel Biomass Action Plan in cui si rileva come il 4% del fabbisogno energetico sia attualmente soddisfatto dalla biomassa; se si sfruttasse l’intero potenziale di tale risorsa, di qui al 2010 tale valore potrebbe più che raddoppiare.

Un’importante impulso alla bioenergia potrà essere offerto dalla riforma della Politica Agricola Comunitaria attuata nel 2003 (Regolamento comunitario 1782/2003) in cui il sostegno al reddito degli agricoltori non è più vincolato alla produzione agricola. Gli agricoltori possono quindi rispondere liberamente alla crescente domanda di biomassa e beneficiare dello speciale regime di “aiuto alle colture energetiche”.

Nell’ambito delle strategie di sviluppo della bioenergia bisogna distinguere le potenzialità ed opportunità offerte dalle diverse filiere: mentre la biomassa utilizzata per la produzione di calore ed energia elettrica offre le migliori opportunità in termini economici, di affidabilità dal punto di vista tecnologico e in termini di riduzione delle emissioni climalteranti, i biocarburanti offrono le maggiori possibilità occupazionali e la migliore sicurezza di approvvigionamento. .

La filiera e le tecnologie per l’impiego della biomassa per la produzione di calore, sia esso destinato al mercato civile che industriale, infatti, è relativamente semplice, poco costosa e, per quanto matura dal punto di vista tecnologico, sempre soggetta ad innovazioni finalizzate a favorirne la diffusione su larga scala.
Tale filiera è caratterizzata da “grappoli di attività” in grado di interessare il settore industriale, quello dei servizi e dell’innovazione tecnologica. Si consideri, a titolo esemplificativo, l’erogazione dei servizi di gestione calore forniti anche da Esco (Energy Service Company) basati sull’installazione di caldaie a biomassa in sostituzione di impianti convenzionali.
Lo sviluppo di tale filiera è però condizionato da barriere non tecnologiche, legate soprattutto alla fiducia del mercato nei confronti della garanzia di reperimento di un combustibile, come la biomassa, ancora non commercializzato su canali tradizionali.
Per quanto riguarda la filiera italiana di produzione di energia elettrica essa rappresenta ad oggi una realtà importante nel settore forte di più di 32 impianti, con una potenza totale installata netta di circa 400 MWe ed un consumo annuale di biocombustibile stimato intorno a 4,2 milioni di tonnellate tal quale; è significativo notare che di questa potenza solo una piccola parte sfrutta il calore cogenerativo per il riscaldamento di utenze civili ed industriali
Il combustibile è generalmente legno cippato di varia qualità ma sono largamente utilizzati anche scarti agroalimentari quali lolla di riso, sansa e vinacce esauste. È importante sottolineare come la provenienza delle biomasse non è sempre nazionale ma vi sono”sensibili” importazioni di biomasse lignocellulosiche dall’estero soprattutto per impianti ubicati nel meridione d’Italia.

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Tale filiera, soprattutto in riferimento alle tecnologie a griglia ed a letto fluido, presenta un elevato livello di maturità tecnologica. Anche il quadro normativo risulta abbastanza definito soprattutto in riferimento al meccanismo di incentivo dei Certificati Verdi recentemente aggiornato con il recepimento della Direttiva Comunitaria 2001/77 recante norme in materia di obiettivi minimi di produzione di elettricità da fonti rinnovabili.
Se negli anni ’90 i limiti allo sviluppo della filiera erano rappresentati dalle tecnologie utilizzabili nel processo industriale, attualmente l’anello debole è rappresentato dall’approvvigionamento che come accennato viene garantito da materiale residuale o da importazioni.
Il precedente regime Pac impediva di fatto il ricorso alle colture energetiche, limite attualmente rimosso con la politica del disaccoppiamento che può determinare il rilancio di una nuova stagione di programmazione di tali investimenti.

Ulteriori opportunità di sviluppo alla “filiera bioelettrica” vengono offerte da due grandi temi di sviluppo industriale del Paese:

  • il ritorno all’utilizzo del carbone con conseguente possibilità di co-firing con biomasse;
  • il processo di riconversione del settore bieticolo-saccarifero prevalentemente finalizzato allo sviluppo di investimenti nella bioeenrgia.

La figura seguente riporta la localizzazione delle centrali a carbone nel nostro Paese (realizzate ed in conversione); alcune di queste stanno già attivando programmi di co-combustione con biomasse agricole di varia provenienza.

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La possibilità di utilizzare combustibile lignocellulosico in miscela con il carbone presenta diversi aspetti positivi, quali rendimenti energetici elevati garantiti dalle grandi potenze elettriche in gioco, contenimento delle emissioni di anidride carbonica e quindi compatibilità rispetto alla direttiva UE “Emissions Trading”, flessibilità nelle strategie di approvvigionamento rispetto ad impianti dedicati ad un solo combustibile. Negli impianti co-firing, la quota di energia prodotta dalla componente biomassa è inoltre eleggibile al riconoscimento dei Certificati Verdi.
E’ interessante osservare come la co-combustione sia una soluzione tecnica già ampiamente utilizzata da quei Paesi comunitari in cui il carbone rappresenta una importante fonte di diversificazione degli approvvigionamenti energetici (Gran Bretagna, Danimarca, Svezia, Olanda, Belgio, Ungheria, Repubblica Ceca).
Tale soluzione, anche per il nostro Paese, è in grado di assicurare una importante richiesta di biomassa capace di assecondare, in tempi relativamente brevi, la necessità di diversificazione produttiva del mondo agricolo per determinati bacini produttivi.

Per quanto riguarda gli effetti della riconversione della filiera bieticolo-saccarifera nei confronti del settore bioenergetico è importante analizzare i piani industriali che le realtà (SFIR, Italia Zuccheri-Co.Pro.B, Sadam e il gruppo del Molise) hanno definito per la successiva approvazione nazionale e comunitaria e l’accesso ai fondi della riconversione.

La figura seguente riporta la distribuzione degli zuccherifici sul territorio nazionale andando ad evidenziare quelli oggetto di riconversione distinguendo tra impianti a bioetanolo, biodiesel e centrali elettriche a biomassa.

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Analogamente alla generazione elettrica, anche il settore dei biocarburanti è disciplinato dalla normativa comunitaria: la direttiva fissa al 2% il valore di riferimento per la quota di mercato nel 2005 ed al 5,75% nel 2010.
Il valore di riferimento fissato per il 2005 non è stato raggiunto dagli Stati Membri ed un forte ritardo si registra soprattutto in Italia.
Per quanto il costo del petrolio si sia attestato al di sopra i 60 USD, risultano ancora rilevanti le distanze di competitività dei biocarburanti rispetto ai prodotti petroliferi. Uno studio della Commissione Europea sostiene che affinché il biodiesel risulti competitivo, il prezzo del petrolio deve aggirarsi sui 75 Euro al barile, mentre nel caso del bioetanolo il prezzo dovrebbe salire a 95 Euro al barile. Si consideri che, con l’attuale quotazione del petrolio (65 $/barile) ed il recente rapporto di cambio (1,27 $/Euro), il prezzo del barile è fissato a 51 Euro.

Appare quindi evidente come lo sviluppo di tale filiera, in grado di impattare fortemente su comparti agricoli in grande difficoltà come il settore bieticolo saccarifero ed i grandi seminativi in generale, debba essere supportata da una politica di incentivi indiretti (obbligo alla miscelazione dei biocarburanti nei combustibili convenzionali) e/o da quelli diretti (esenzione dalle accise).

Il ricorso al sistema di esenzione dall’accisa, prevista dall’articolo 16 della Direttiva Biocarburanti, può essere applicato da ciascun stato membro senza autorizzazione della Commissione e con durata massima di 6 anni.
Tale sistema è stato quello maggiormente adottato dagli Stati Membri in occasione del lancio del nuovo mercato. Alla lunga ha però presentato diversi limiti nella possibilità di sostenere forti incrementi di quote di mercato. La definizione di un livello di esenzione o di riduzione dell’accisa, infatti, necessita di una implementazione molto attenta alle dinamiche dei mercati delle materie prime, al fine di evitare distorsioni sui costi di produzione e provocare asimmetrie di mercato tra biocarburanti e combustibili fossili, ma soprattutto deve essere ben bilanciata e ben quantificabile per poter essere coperta e sostenuta nei bilanci statali.
Tale limite è ben riscontrabile nell’esperienza nazionale in riferimento alla filiera del biodiesel.
Dinanzi ad una capacità produttiva crescente (vedi figura X), i livelli di produzione si sono attestati sui valori previsti dal contingente massimo defiscalizzato (vedi figura Y).
Nel caso del bioetanolo la mancanza di decreti attuativi interministeriali e del parere di approvazione di Bruxelles ha impedito l’attivazione dei 73 milioni di euro annui stanziati nella finanziaria 2005 a favore della parziale defiscalizzazione di bioetanolo ed ETBE nel triennio 2005-2007.

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Il sistema basato sulle quote, contrariamente al sistema basato sulle politiche fiscali, si concentra invece sui produttori di combustibili fossili, obbligandoli ad immettere sul mercato (producendola o acquistandola da produttori terzi) una quota di biocarburanti predefinita e ripartita secondo le quantità di carburanti non rinnovabili prodotti da ciascun attore.
La stessa Commissione Europea indica in tale strumento, quello maggiormente idoneo a favorire il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi previsti dalla Direttiva.
Gli obblighi di immissione, se in grado di garantire il mercato di sbocco dei biocarburanti, rischiano però di non incidere sulla filiera di approvvigionamento della materia prima.
I biocarburanti e le materie prime da cui sono estratti, in quanto commodities, sono oggetto di scambi sui mercati mondiali con prezzi internazionali spesso più competitivi rispetto a quelli nazionali.
Una politica autarchica per il soddisfacimento della domanda interna dell’UE non è né realizzabile né auspicabile così come non è auspicabile una politica di incentivo in grado di favorire la sola apertura del mercato al consumo, trascurando quello della produzione della materia prima.
Un esempio di tale squilibrio si è avuto con la recente applicazione della Legge 81/2006 in cui è stato introdotto l’obbligo, per i produttori di carburanti diesel e di benzina, dal 1° luglio 2006, di immettere al consumo biocarburanti di origine agricola oggetto di un’intesa di filiera, o di un contratto quadro, o di un contratto di programma agroenergetico, in misura pari all’1 per cento dei carburanti diesel e della benzina immessi al consumo nell’anno precedente. Tale percentuale, espressa in potere calorifico inferiore, è incrementata di un punto per ogni anno, fino al 2010.
L’obbligo indicato al 1° luglio 2006 è stato disatteso vista l’impossibilità di reperire materia prima di origine agricola nonché l’attuale limitata capacità industriale di produzione di bioetanolo.

Conclusioni
Nel Documento di Programmazione Economico-Finanziaria 2007-2011, il Governo ritiene necessario intervenire con decisione sul mix energetico, valorizzando le risorse interne, promuovendo le fonti rinnovabili in maniera efficiente e secondo logiche di filiera industriale.
Tra le fonti rinnovabili, grande rilevanza è stata riservata alle “Agro-energie”, che dovranno essere favorite attraverso il rafforzamento delle potenzialità della L. 81/2006.
La diffusione su larga scala della bioenergia non può che passare attraverso la coerente applicazione degli strumenti di intervento già previsti dalla citata legge ed in particolare:

  1. Ricorso equilibrato agli strumenti di incentivazione diretta (esenzione dalle accise) ed indiretta (obbligo di miscelazione).
  2. Progressiva diminuzione degli interventi di incentivazione diretta e contestuale innalzamento degli obiettivi di miscelazione.
  3. Possibilità di revisione periodica (annuale o biennale) dei livelli di incentivazione diretta in funzione dell’andamento dei livelli di competitività dei biocarburanti rispetto ai combustibili fossili (quotazioni dei prodotti petroliferi, rapporto di cambio Euro/$ e livello di innovazione delle tecnologie di trasformazione).
  4. Programmazione degli obiettivi diversificati in funzione del differente livello di maturità delle filiere: obiettivi di breve-medio periodo per il biodiesel e di medio-lungo periodo per il bioetanolo.
  5. Definizione di una strategia di promozione dell’industria di trasformazione attraverso la piena applicazione e sostegno dei piani di riconversione della filiera bieticolo saccarifera.
  6. Definizione di una strategia di sostegno alla produzione agricola attraverso la nuova programmazione dei piani di sviluppo rurali.
  7. Definizione di criteri di certificazione ambientale, da riconoscere su scala comunitaria e non discriminatori nei confronti dei prodotti di importazione, in grado di sostenere le produzioni agroenergetiche
  8. Applicazione, anche per la filiera bioelettrica, dello strumento del contratto di programma agroenergetico
  9. Estensione dell’applicazione del decreto 102/2005 per la definizione dei contratti di filiera/contratti quadro da applicare alla bioenergia
  10. Favorire il ricorso al co-firing (co-combustione carbone-biomassa) in linea con quanto avviene negli altri paesi comunitari e con la necessità di diversificazione delle fonti di approvvigionamento per la sicurezza energetica nazionale

Dott.Fabrizio Rossi – Agriconsulting SpA

L’articolo è stato pubblicato su Progetto & Pubblico n.27

30 gennaio 2007

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