Per contenere il riscaldamento globale entro un limite massimo di 2°C è necessario fissare come limite massimo delle concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica a 550 ppm (parti per milione in volume), un valore questo che è circa doppio di quello che c’era due secoli fa e che è circa il 45% superiore a quello attuale (380 ppm). Per stabilizzare le concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica a 550 ppm è necessario procedere ad una riduzione delle emissioni di gas serra fino a circa il 60% rispetto al 1990, da attuarsi entro e non oltre il 2050. Come tappa intermedia si potrebbe fissare tra il 2020 ed il 2030, data per la quale la riduzione dovrebbe essere intermedia e cioè attorno al 30%.
Questa è la proposta della Unione Europea per la quale la Commissione chiede non solo supporto, ma anche forte determinazione affinché sia realizzata pienamente a cominciare dal prima possibile.
Cosa dice il rapporto
Sia lo scenario minimo che quelli massimi in base ad una analisi dei comportamenti sociali e socio economici a livello mondiale, possono ritenersi a bassa probabilità di occorrenza: quello minimo perché presupporrebbe un comportamento globale talmente virtuoso che non appare realistico, quelli massimi perché viceversa presupporrebbero comportamenti talmente miopi e poco lungimiranti da essere ugualmente poco credibili. Dunque gli scenari medi hanno la più alta probabilità che possano effettivamente verificarsi in futuro. In particolare con lo scenario B2 la temperatura media globale crescerà al 2070 di 2,2 °C (e tendenzialmente 3°C al 2100), mentre con lo scenario A2 l’aumento sarà di 3°C (e tendenzialmente attorno ai 3,5°C al 2100).
La domanda che si pone la UE è la seguente: quanto costeranno all’Europa gli impatti dei cambiamenti climatici in questi scenari medi più realistici? Questi scenari medi sono ambientalmente accettabili ed economicamente sostenibili? Quali sforzi devono essere programmati per ottimizzare costi e benefici e minimizzare i danni?
Gli impatti considerati non sono tutti ma quelli principali riguardanti: l’agricoltura, la salute umana, il turismo, le alluvioni ed inondazioni e le aree marino costiere. Le ipotesi prese in considerazione e che sono alla base di questi due scenari sono lo sviluppo demografico, lo sviluppo economico, l’uso delle risorse energetiche, l’uso delle risorse naturali, l’innovazione tecnologica e l’uso di nuove tecnologie.
Lo studio di dettaglio è stato effettuato mettendo a punto un idoneo progetto denominato Peseta coordinato dalla Direzione dei centri comuni di ricerca della Unione Europea (DG-JRC). I risultati finora conseguiti e che devono considerarsi preliminari sono impressionanti, nonostante gli scenari presi in considerazione siano quelli medi, e non quelli massimi più pessimistici e catastrofici. A causa del riscaldamento climatico e della maggiore disponibilità di acqua la produttività agricola potrebbe crescere fino al 70% in più nel nord Europa, ma, viceversa, a causa dell’eccesso di caldo e della minore disponibilità d’acqua potrebbe diminuire del 22% in area mediterranea. Siccome l’agricoltura pesa mediamente attorno al 15% del prodotto nazionale lordo, i danni per i paesi dell’area mediterranea sarebbero ingenti. Viceversa altrettanto ingenti sarebbero i benefici per i paesi del nord Europa.
Le ondate di caldo potrebbero aumentare i decessi delle persone più a rischio (anziani e bambini) di 36 mila persone in più l’anno,con aumento di temperatura media di 3 °C (scenario A2) di 18 mila persone in più l’anno, con aumento di temperatura di 2,2 °C (scenario B2). Questo si ripercuote sui relativi servizi sanitari nazionali ed in particolare su quelli dei paesi del sud Europa dove le ondate di calore sarebbero più rilevanti, come ha mostrato l’esempio dell’estate 2003.
Per le aree costiere i danni, le stime non possono essere fatte in relazione al prodotto nazionale lordo, in relazione alla presenza o meno di coste nei vari paesi europei. Complessivamente per le coste europee i danni per erosione e inondazione costiera a causa dell’innalzamento del livello del mare i danni potrebbero andare da 9 a oltre 42 miliardi di euro per anno che, però, si potrebbero ridurre a valori compresi fra 2 e 11 miliardi di euro per anno se si procedesse già da subito a ridurne la vulnerabilità.
Per quanto riguarda le alluvioni, anche qui la situazione è diversa da paese a paese, ma i danni maggiori li subirebbero quei paesi attraversati da grandi fiumi o da fiumi meno dotati di difese adeguate contro le inondazioni. Per le piene dei fiumi i costi potrebbero essere molto salati anche in termini di perdita di vite umane, di beni e di abitazioni. I danni maggiori potrebbero venire dal Danubio e dalla Mosa ed interessare quindi più direttamente i paesi del centro Europa
Infine per quanto riguarda il turismo le regioni mediterranee diventerebbero del tutto inospitali sia per mancanza d’acqua che per eccessivo calore, mentre diventerebbero molto più appetibili le aree del nord Europa. In pratica, agli impatti negativi e le perdite economiche dell’industria turistica dei paesi del sud Europa e del Mediterraneo si tradurrebbero in impatti positivi e crescita del prodotto nazionale lordo dei paesi del nord Europa.
A tutto ciò vanno aggiunte le questioni sociali e di opportunità di sviluppo che cambierebbero radicalmente rispetto alla situazione attuale.
Pur avendo considerato solo alcuni degli impatti in relazione unicamente a scenari medi di cambiamento del clima, i costi che si prospettano appaiono abbastanza elevati per l’Europa nel suo complesso e ancor di più per i paesi del Mediterraneo.
Dunque neanche gli scenari sono accettabili sufficientemente sostenibili dal punto di vista economico. E’ necessario un ulteriore sforzo perché l’innalzamento della temperatura media globale non superi i 2°C che si può considerare il limite oltre il quale sarà molto difficile procedere all’adattamento ed i costi potrebbero diventare insopportabili per l’economia europea. Da qui la proposta europea sopraddetta.
Vincenzo Ferrara
9 gennaio 2007