Per un’autonomia energetica

  • 12 Dicembre 2006

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L'analisi di Gianni Silvestrini del recente libro di Hermann Scheer "Autonomia Energetica"

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I due elementi che rendono suggestivi e stimolanti i contributi di Hermann Scheer nel volume di recente pubblicazione “Autonomia Energetica” sono, da un lato il forte convincimento del possibile ruolo egemonico delle fonti rinnovabili, la “visione” cioè di un mondo futuro liberato dalla dipendenza dai combustibili fossili e dal nucleare, e dall’altro l’azione concreta e innovativa che ha esercitato per avviare questo percorso, in particolare in Germania.
La necessità di questa rivoluzione energetica è determinata dalle notizie sempre più preoccupanti sul fronte del clima e dall’avvicinarsi del momento in cui il petrolio raggiungerà il picco della produzione.
Per dimezzare le emissioni dei gas climalteranti, in un contesto di costante crescita (basti pensare che malgrado Kyoto le emissioni aumenteranno del 45% tra il 1990 e il 2010) si potrebbero utilizzare tre soluzioni, il nucleare, il sequestro dell’anidride carbonica e le fonti rinnovabili, oltre che una seria politica dell’efficienza energetica. Le prime due opzioni presentano però problemi ambientali e di fattibilità economica. La terza, quella delle fonti rinnovabili, grazie al continuo miglioramento delle tecnologie diviene sempre più credibile ma stenta ad affermarsi, anche solo teoricamente, come possibile alternativa globale.
Eppure, non possiamo aspettare. Secondo l’ambientalista storico James Lovelock la gravità della catastrofe climatica impone l’uso del nucleare, cioè la costruzione di migliaia di nuovi reattori. Ma è una scelta dettata dalla disperazione, costosa e irrealizzabile (si pensi solo alle limitate disponibilità di uranio).
Le rinnovabili possono invece realmente rappresentare l’alternativa. Perché questo divenga veramente il secolo della transizione all’energia solare occorre però la concertazione di volontà politiche nazionali che al momento sono assolutamente minoritarie.

Per capire quale ruolo possono svolgere le energie verdi e con quale rapidità si possono diffondere, è interessante analizzare i pochi casi di successo, quelli cioè dove si è registrata una volontà politica costante nel tempo.
Dopo il primo boom californiano delle energie verdi agli inizi degli anni Ottanta, naufragato con l’arrivo di Reagan e con il crollo del prezzo del petrolio nel 1985, l’interesse sulle rinnovabili è ripartito solo a metà degli anni Novanta ed è possibile valutare alcuni trends della diffusione delle fonti rinnovabili.
L’immagine che emerge è quella di una diffusione a macchia di leopardo con poche isole felici per un quadro internazionale di crescente ma ancora modesto impegno.
Determinante nel decollo delle tecnologie verdi in alcuni Paesi è stato il contesto politico, a volte più ancora del potenziale delle rinnovabili, come insegna il caso tedesco.
Questo spiega perchè risultati significativi si siano avuti solo in poche aree e, al tempo stesso, fa intuire l’enorme potenziale di crescita. Uno sforzo ad ampio spettro faciliterebbe infatti l’abbattimento di prezzi e l’avanzamento tecnologico accelerando ulteriormente i tempi di diffusione.

In Danimarca la percentuale di energia elettrica prodotta utilizzando fonti rinnovabili è passata tra il 1991 e il 2004 dal 3 al 25%. L’incidenza sulla bolletta elettrica delle famiglie e per le industrie danesi dei programmi di incentivazione è stata rispettivamente del 3 e del 9%. Questo impegno economico ha consentito di ridurre le importazioni energetiche, di creare la più forte industria eolica del mondo con un fatturato annuo di 2,5 miliardi €, e di dimezzare i costi dell’elettricità dal vento (da 10 a 5 c€/kWh).
Ma vediamo quali risultati si sono ottenuti in un Paese decisamente più grande, la Germania, con consumi di oltre 500 miliardi di kWh/a, in presenza di una politica aggressiva e costante nel tempo.
In un quindicennio l’elettricità prodotta da rinnovabili ha raggiunto il 10% (6% dal solo eolico). L’impegno governativo verso le fonti rinnovabili, a fronte di un limitato extracosto sulle bollette, ha consentito la creazione di una forte industria delle energie verdi con oltre 150.000 addetti.

Riportiamo infine la situazione della Spagna che nel periodo 1995-2005 ha installato 10.000 MW di eolico raggiungendo una copertura del 7% del fabbisogno elettrico.
E per il futuro?
Una politica attenta potrebbe consentire di coprire il 25% della domanda elettrica tedesca nel 2020 e il 31% e il 35% rispettivamente in Spagna e in Danimarca entro il 2015.
Insomma, le esperienze e gli obiettivi posti da alcuni Governi dimostrano che, con il livello di maturità tecnologico raggiunto, si può arrivare a produrre un quarto dell’energia elettrica di un Paese industrializzato nell’arco di 15-25 anni.
Va però considerato che l’eolico in molte realtà ha rappresentato la tecnologia dominante e che il settore dei carburanti e quello termico sono meno facilmente aggredibili rispetto a quello elettrico.
Ma le filiere energetiche verdi hanno un’evoluzione molto diversificata. Nel primo quarto di questo secolo il contributo aggiuntivo verrà prevalentemente dall’eolico e dalle biomasse, mentre saranno poi le tecnologie solari a incrementare la percentuale di energia verde. Questa integrazione tra diverse tecnologie consente di ipotizzare contributi al sistema energetico decisamente più incisivi. Se si mantenesse lo stesso ritmo registrato nei tre Paesi analizzati, si coprirebbe la metà della domanda elettrica in una quarantina d’anni. Si potrebbe fare di più, in presenza di una volontà politica non più solo nazionale, ma complessiva. Per esempio immaginando che in presenza di un’accelerazione dei cambiamenti climatici si metta in moto nel prossimo decennio uno sforzo gigantesco di riconversione dei sistemi energetici.

Conoscendo l’andamento delle curve logistiche di diffusione delle tecnologie sappiamo che nella fase iniziale il tasso di crescita aumenta rapidamente.
E’ possibile dunque ipotizzare tempi molto rapidi, in particolare in presenza di una riduzione accelerata dei costi delle rinnovabili e dell’emergere del fotovoltaico avanzato. E’ da questa tecnologia infatti che, nel periodo 2020-2060, ci si può aspettare il boom verde in grado di far fronte alle sfide del Pianeta.
Può essere utile segnalare alcune valutazioni “di parte” sul possibile sviluppo di queste tecnologie.
Ad esempio Erec, l’associazione che raggruppa le industrie produttrici delle fonti rinnovabili, ha elaborato uno scenario “spinto” in cui si ipotizza una copertura dell’80% dei fabbisogni elettrici mondiali e del 50% di quelli complessivi entro il 2040.
Una transizione di queste dimensioni avrebbe bisogno di un mutamento drastico delle volontà politiche, di enormi capitali e di attori in grado di promuovere il cambiamento.
Sui protagonisti e sugli avversari di questa rivoluzione Scheer non ha dubbi. Le grandi compagnie energetiche hanno difeso il sistema esistente e continueranno a ostacolare il processo di diffusione delle fonti rinnovabili.
Se analizziamo i casi di successo in Germania e Danimarca questa tesi viene confermata. Sono le migliaia di investitori che hanno deciso di puntare sull’eolico e poi sul fotovoltaico ad avere utilizzato in maniera intelligente gli strumenti di incentivazione. Guardando i grandi operatori energetici, l’impressione è invece che in molti casi siano assenti. In alcuni Paesi svolgono un ruolo in quanto le rinnovabili rappresentano un investimento interessante, ma quasi mai ne fanno una scelta impegnativa, strategica. Facevano eccezione, fino all’anno scorso, Shell e Bp che sulle rinnovabili avevano puntato creando appositi dipartimenti e arrivando, nel caso della Bp, a cambiare anche l’acronimo (da British Petroleum a Beyond Petroleum). Ma lo slancio si è perso e, nel comparto del fotovoltaico nel quale fino a qualche anno fa le due Big Oil primeggiavano sono ormai state sorpassate da molte imprese. La Shell, infine, nel 2006 ha ceduto larga parte della produzione fotovoltaica a SolarWorld, rampante piccola industria tedesca.
Se questo schema concettuale appare confermato, non bisogna però sottovalutare il possibile ruolo trainante di utilities che decidono di spingere verso le energie verdi. E’ il caso di Iberdola, la seconda compagnia elettrica spagnola, che è anche il maggior gestore mondiale di fattorie del vento (3.500 MW alla fine del 2005 che dovrebbero diventare 5.000 nel 2008) e sta realizzando 13 centrali solari termoelettriche a concentrazione per 605 MW e una grande distilleria di etanolo.
A una prima analisi si potrebbe dunque dedurre che la tipologia e la scala dell’intervento richiedano (con le dovute eccezioni) attori diversi. Così il solare (fotovoltaico e termico) integrato nell’edilizia si diffonde grazie all’interesse di centinaia di migliaia di famiglie e nelle campagne l’investimento in sole e vento rappresenta una nuova fonte di reddito per un gran numero di imprese agricole.

Viceversa, la realizzazione di impianti di notevoli dimensioni (centrali solari o parchi eolici) vede un ruolo preponderante di grandi società. Con eccezioni in un senso e nell’altro. Basti pensare che la maggiore spinta al fotovoltaico Usa venne dalla Smud, la società municipalizzata elettrica della città di Sacramento, con la promozione del programma “Solar Pioneer”. Nel 2002 nella capitale della California erano installati 10 MW, pari alla metà dei tetti solari di tutti gli Usa, con un valore di 25 W/abitante, il doppio di quello attuale in Germania.
D’altra parte esistono parchi eolici o centrali solari con proprietà diffusa, che vedono il coinvolgimento di cooperative o enti locali.
Quando i numeri divengono importanti entra poi in campo anche la grande finanza. Così Nanosolar, società con investimenti da parte di Google, ha annunciato la costruzione in California della più grande industria di produzione di celle solari del mondo (430 MWp/a) e Goldman Sachs si è mossa finanziando con 60 milioni $ una società, SunEdison, che propone un innovativo schema di diffusione del solare.
Insomma, gli attori saranno molteplici, anche se non c’è da farsi illusioni sul ruolo delle attuali aziende energetiche che considerano spesso pericolose le tecnologie che escono dal loro “core business”.

La rivoluzione energetica è comunque iniziata, anche se pochi se ne sono accorti. Ci saranno vincitori e vinti e l’Italia è assolutamente in ritardo nello sviluppo delle filiere del futuro. C’è da sperare e lavorare affinché nei prossimi anni si possa invertire questa tendenza e anche il nostro Paese divenga protagonista dei cambiamenti in atto.

Gianni Silvestrini
Direttore scientifico del Kyoto Club

12 dicembre 2006

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