Legami energetici

  • 15 Novembre 2006

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La società della conoscenza richiede sempre più energia. Ma la qualità delle fonti non può essere ignorata. Fra etica, economia e sostenibilità: le ragioni di una scelta pulita in un articolo del sociologo Carlo Donolo

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Nella società delle reti tutto si tiene ed è tenuto insieme da flussi energetici. L’interdipendenza tra flussi d’informazione e flussi d’energia è stretta. Tempi e spazi globali implicano la disponibilità permanente di energia nelle sue varie forme e di quella elettrica in particolare. Ma l’energia come presupposto della società della conoscenza resta latente finché la sua fonte o la sua distribuzione non diventa un problema a causa dell’insicurezza sugli approvvigionamenti o dei black-out. Queste crisi sono inerenti alla complessità del sistema, sono ricorrenti e tendono ad acutizzarsi. La società globalizzata sfiora del resto i limiti dello sviluppo e con ciò diventa cosciente sia della sua dipendenza dalle fonti di energia, sia dalle condizioni di sostenibilità che lo stesso consumo energetico tende a mettere in forse. Il timore che l’energia finisca sgonfia le illusioni del progresso indefinito. Ci si rivolge allora ad altre fonti, più sostenibili e riproducibili, se ci sono e potranno bastare. Il planning razionale ci dice che il criterio-guida deve essere: risparmio energetico e accessibilità per tutti ad energie “pulite” e sostenibili.

Come presupposto perché si sviluppi la società della conoscenza e delle reti, l’energia diventa oggetto di pretese. In quanto merce è esposta al diritto dei consumatori (al momento assai debole), in quanto bene pubblico invece viene sentita come un bisogno necessario e condiviso. C’è inoltre una responsabilità istituzionale verso la fornitura d’energia e l’imperativo di garantirla è tale da spingere i poteri verso strategie geopolitiche assai invasive o a scambi molte volte oscuri. La coscienza collettiva ancora dominante su questo punto, insomma, tarda a cogliere tutte le contraddizioni. Il consenso va alla crescita economica indefinita come promessa di un benessere materiale illimitato e questo legittima l’incremento della domanda di energia. Le legittime pretese di avere energia, dato che da essa dipendono tante nostre libertà positive e negative, spinge ad una certa inconsapevolezza circa la tipologia delle fonti. E ad accettare compromessi che per esempio in altri campi (come nel caso della mucca pazza) invece sono stati respinti. Forse è questione di tempo: le pretese legittime di energia presto varranno solo in condizioni di limite o di sostenibilità. Qui veramente la società della conoscenza (della scienza e della tecnologia) sarà messa alla prova della propria virtù. E qualcosa già si muove in questo senso nella coscienza collettiva.

Per l’energia vale il criterio che si applica all’uso dei beni comuni: il principio di responsabilità ed anche di precauzione, per quanto riguarda le condizioni della sostenibilità (riproducibilità, durabilità) del bene. Esso è reso praticabile dal fatto che scienza e tecnica consentono di risparmiare sempre più energia e di valorizzare le fonti alternative, fino alla tendenziale chiusura del cerchio. Ma l’energia, con la sua connessione alla società delle reti, presenta anche un altro aspetto etico: essa è la forza che tiene in piedi la società artificiale e virtuale. Al suo interno il soggetto o l’attore sociale è posto in condizione di predicare i propri diritti come risorse di un indeterminato processo di crescita delle competenze. L’energia quindi – attraverso i suoi infiniti canali, tubi e cavi – alla fine accende la lampadina di Eta Beta. Cioè di tutti noi. I diritti diventano esigibili su base energetica. Ma riflessivamente essi si mettono alla prova sul fronte dell’energia da cui dipendono: il processo di capacitazione dell’individuo è riflessivo e richiede sostenibilità. Altrimenti si interrompe. Ecco allora che il principio di responsabilità – inteso come un imperativo categorico kantiano con riguardo all’ecosistema (qui nella sua componente energetica) – si lega intimamente alla possibilità di crescita o maturazione del soggetto, intravista alle origini della modernità ancora da Kant e da Condorcet, Herder e tanti altri. Le capabilities, per dirla con Amartya Sen, richiedono un contesto d’azione sostenibile. Consumano energia ma la restituiscono in forma d’intelligenza sociale e collettiva.

Anche da un’altra prospettiva, quella di un’etica consequenzialista o neoutilitaristica, si arriverebbe a conclusioni non dissimili: un interesse beninteso, cioè ben informato, uno sguardo non corto sul saggio di sconto degli effetti delle proprie azioni, l’intreccio degli interessi nel tempo e nello spazio, la necessità di disporre di regolazioni più razionali per interessi più ragionati e così via. Se Kant o Jonas non bastano, e si desiderano calcoli più precisi, si ritorna comunque a un’etica dell’energia centrata sulla sostenibilità dei processi e sulla più produttiva riflessività dell’intelligenza sociale attraverso le capabilities. Ed è questa la pista principale su cui si è spinta Elinor Ostrom indagando le difficili condizioni di governabilità della riproduzione di beni comuni, naturali e artificiali, fisici e virtuali. L’energia come stock e come flusso vi rientra di diritto.

Tutti questi argomenti ci spingono verso un altro nesso importante, ancora sottovalutato. Come praticare imperativi categorici del tipo «tratta l’energia come te stesso, cioè l’energia non sia solo mezzo ma anche fine» se sull’energia non vi è un appropriato dialogo sociale? L’energia è un tema tecnico e quindi la sua gestione resta affidata ad algoritmi più o meno solidi. Ma è anche condizione di possibilità e su questo invece abbiamo bisogno di processi deliberativi. Del resto solo questi possono radicare nel senso comune i principi etici elementari relativi alle fonti e al consumo d’energia. Quindi l’etica e l’energia trovano il raccordo possibile in un’agorà nella quale sia possibile trattare anche le contraddizioni in seno al popolo (si pensi al ruolo dell’auto, al suo dispendio energetico e alle sue esternalità negative). Cercando principi etici in relazione al ruolo dell’energia nella società contemporanea incontriamo non casualmente la democrazia, unico regime in grado di far fronte, pur con le sue deficienze, all’energia come paradosso della società complessa. Che ne vuole sempre di più e ne deve, in proporzione, consumare sempre di meno. Per non smentire se stessa.

Carlo Donolo

15 novembre 2006

L’articolo è stato pubblicato su La Nuova Ecologia all’interno dello speciale sulle energie rinnovabili “Orgoglio rinnovabile” curato da Sergio Ferraris

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