Demonio d’auto

  • 14 Novembre 2006

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Guido Viale, economista, esperto di mobilità e saggista, è stato autore di un libro dal titolo provocatorio: Tutti in taxi. In una sorta di demonologia dell'automobile Viale sostiene la possibilità concreta di farne a meno. In questa intervista Viale descrive, ad alcuni anni di distanza dall'uscita del volume, i pochi pregi e i molti difetti della nostra società fondata sul culto dell'auto.

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L’auto è da abolire?

Io non propongo l’abolizione dell’automobile, ma l’abolizione dell’automobile privata, cioè del possesso personale del mezzo. L’auto è assolutamente insostenibile sul piano globale. Se tutta la popolazione mondiale avesse lo stesso tasso di motorizzazione dei paesi industrializzati, una vettura ogni due abitanti, tutte queste auto non inquinerebbero in maniera sconfinata, consumerebbero petrolio in maniera insostenibile, ma soprattutto non ci starebbero materialmente sulla Terra. Ogni auto per muoversi ha bisogno di spazio. Si tratta di circa 30 m2 ad una velocità urbana e fino a 70-100 m2 quando la velocità aumenta. Quindi o riteniamo che l’auto spetti, come diritto, soltanto ai paesi occidentali, e che gli altri ne debbano rimanere esclusi per sempre, oppure dobbiamo attivare forme di mobilità sia urbana, sia extraurbana diverse, che possano essere adottate anche dal resto del mondo.

Parliamo di città. Come convincere il viaggiatore urbano ad utilizzare i mezzi collettivi?

Non ho delle soluzioni pronte. Ciò che dico è che questa scelta non può essere lasciata ai singoli utenti. Se no non c’è che l’auto privata. Il potenziamento e il passaggio a nuove modalità di trasporto, come quello flessibile, dipende da decisioni politiche che a loro volta derivano da scelte collettive. Senza l’intervento della mano pubblica, come amministrazioni locali, urbane e municipali, non è ipotizzabile un diverso orientamento dei consumatori anche se il fastidio per la congestione del traffico cresce visibilmente e comincia a dare i suoi frutti. Le persone che cominciano a studiare occasioni in cui è possibile rinunciare all’auto sono già molte.

È in aumento il fenomeno dei Suv. Di che cosa è sintomo?
Il Suv è un consumo che è stato forzato dall’industria automobilistica perché non sapeva più che cosa offrire per garantirsi le vendite. Penso che, per quanto riguarda il SUV, ci siano delle motivazioni che si radicano nel subconscio e nei comportamenti sessuali. Il SUV è simbolo di potenza, ed è semplice dire che si tratta di un sostituto della potenza sessuale. La passione per i Suv coinvolge anche le donne. Ho scritto che l’attrazione che certe donne hanno per i motori e la potenza, anche per le gare di Formula 1, è l’unico esempio di invidia del pene che si riscontri empiricamente nella società, mentre quella ipotizzata da Freud è una favola senza fondamento. La diffusione del Suv in ambiente urbano è anche responsabilità delle amministrazioni che non dovrebbero permettere uno scempio del genere. Le misure possibili di disincentivazione sono molte: dalla proibizione totale, alle imposte, i divieti parziali di circolazione, ed ostacoli di vario genere. I mezzi che gli enti locali possiedono per regolare la circolazione delle auto sono parecchi. Però nessun sindaco italiano ha avuto il coraggio di adottare le misure di congestion-chart, adottare dal sindaco di Londra, che non solo ha liberato la città da circa il 18-20% dei veicoli, ma ha raccolto risorse finanziarie per potenziare il servizio pubblico e ha anche rivinto le elezioni.

Parliamo di auto. Qual è il grado di innovazione?
Il progresso nell’industria automobilistica è relativo, il 90% è risultato di re-styling, e solo per il 10% o forse meno è risultato di effettiva innovazione. Se l’industria automobilistica avesse subito lo stesso progresso dell’ industria informatica e dei computer, oggi un’auto peserebbe poco più di 1 kg, percorrerebbe 40.000 km con poco più di 1 litro di benzina e viaggerebbe a 300 km/sec. Nell’industria automobilistica conta più la forma che la sostanza. Poi c’è la questione dell’obsolescenza programmata del prodotto che è un fatto positivo e negativo. La componente positiva è rappresentata dal progresso che può essere anche ambientale, cosa è successa, poi c’è la componente negativa che è quella di alimentare il mercato di sostituzione. In altri campi ciò è già stato risolto. La 3M, infatti, produce fotocopiatrici che quando intervengono dei progressi tecnici consentono la sostituzione dei singoli componenti, ciò nell’auto non succede.

La massiccia introduzione dell’elettronica nell’auto, che cosa comporta?

L’elettronica nell’auto ha due aspetti: il primo interno, è quello di riempire l’auto di gadget sempre più sofisticati, che hanno poco a che fare con la guida e la sicurezza, e molto con il comfort e l’intrattenimento; il secondo è rappresentato dai sistemi di guida automatica o di controllo esterno. Il più elementare è il navigatore, il cui obiettivo futuro è quello di rendere superflua la guida dell’autista, cosa assurda. Non si capisce perché, a quel punto, ciascuno si debba spostare con la propria auto, invece che con i servizi pubblici, visto che il percorso è precostituito. Questi sistemi di controllo della circolazione e dei veicoli in movimento, però, saranno alla base di forme di trasporto collettivo, come il car-sharing e il car-pooling, per offrire servizi porta a porta, comodi e garantiti come quelli “promessi” dall’auto privata.

L’industria dell’auto è meno lungimirante di alcune aziende petrolifere che si stanno orientando verso le rinnovabili?

Non è così. La Shell e la BP si stanno orientando al fotovoltaico, ma sostengono la lobby petrolifera, che è la principale responsabile di guerre come in Irak e in Afganistan. L’industria automobilistica, in parte, guarda alle alternative. La General Motors, per esempio, è all’avanguardia nello studio del motore ad idrogeno, che ha già prodotto, per i veicoli militari e che estenderà anche al civile. Ciò a cui non credo assolutamente è che il parco auto attuale, o quello che potremmo avere tra 10 anni possa funzionare con fonti diverse da quelle fossili. L’idrogeno generato da rinnovabili non è in grado di sostenere il livello di consumi odierno. Per far viaggiare, ad esempio, una normale utilitaria di classe A con il fotovoltaico, per 2 ore al giorno, ci vorrebbero 400 m2 di pannelli. Se moltiplichiamo ciò per il parco automobilistico mondiale, 550 milioni di veicoli, si vede che la cosa non è nemmeno ipotizzabile.

Cosa pensi delle direttive europee che fissano i limiti di inquinamento dell’auto?
Mi sembra sia una battaglia di Sisifo, spingono verso una riduzione delle emissione e un contenimento dei consumi mentre spuntano fuori, da altre parti, gli stessi danni perché aumenta il parco auto e i suo utilizzo. Il risultato maggiore che hanno avuto finora le direttive europee è stato quello di alimentare il mercato di sostituzione, senza intervenire sul danno maggiore provocato dall’auto: l’occupazione del territorio e la sottrazione di spazio pubblico alla socialità. Il problema è sempre più grave, soprattutto nel nostro paese che ha il tasso di motorizzazione più alto del Pianeta, cosa che si traduce in un danno competitivo per l’azienda Italia.

Sergio Ferraris

12 novembre 2006

L’articolo è stato pubblicato sulla rivista La Nuova Ecologia e sul sito di Sergio Ferraris

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